martedì 23 giugno 2009

Cassazione: no al “saluto romano” fuori e dentro gli stadi.

Tutto origina da un corteo improvvisato da un gruppo di ultras, fuori di uno stadio, a cui seguirono dei tafferugli. Un uomo di 30 anni, è stato condannato in Tribunale, poi in Corte d’Appello ed oggi anche dalla prima sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 25184/2009, in forza della legge Mancino che punisce l'incitamento alla violenza per motivi razziali e religiosi. Innanzi agli Ermellini, la difesa dell’ultras ha sostenuto che la condanna sarebbe stata spropositata visto che il “saluto romano” era soltanto un ''saluto scherzoso''. La Corte, invece ha ribadito il divieto per questo gesto, sottolineando che esso fa riferimento ''ad un regime totalitario che ha emanato, fra l'altro, leggi di discriminazione di cittadini per motivi razziali''.

Divorzio senza separazione. Possibile anche con tre mesi di matrimonio.

Il Tribunale di Firenze con la sentenza n. 1723 del 18 maggio 2009, ha accolto l’istanza di divorzio di una donna fiorentina che, dopo essersi sposata in Italia con un cittadino spagnolo, era andata a vivere nella terra del marito, dove però il rapporto, dopo solo tre mesi, era naufragato.
Il giudice ha applicato i seguenti principi: ai sensi dell’articolo 31 della l. 218/1995, alla procedura di divorzio va applicata la legge nazionale comune (cioè la stessa) dei due coniugi al momento della domanda. Se questa legge comune manca, si applica la legge dello Stato in cui il rapporto coniugale è stato vissuto per più tempo.
Così facendo non ha “recepito” una pronunciata sentenza straniera ma ha applicato direttamente la legge spagnola siccome ritenuta la sola idonea a regolare il rapporto coniugale di quei coniugi, e questo dopo un percorso di verifica della legge straniera di “non contrarietà ai principi fondamentali della Costituzione e dell’ordinamento italiano”. Legge che in tal caso consente lo scioglimento del matrimonio senza passare obbligatoriamente per la separazione.

lunedì 15 giugno 2009

Fare sesso è un diritto. Parola di Cassazione.

Il caso riguarda una donna che aveva subito un intervento di asportazione dell’utero ma, per fatto attribuibile a colpa medica, si era compromessa, tra l'altro, la sua vita sessuale.
Il Tribunale aveva negato il risarcimento del danno non considerando risarcibile nè quello subito alla vita sessuale nè quello di natura estetica. Successivamente la Corte di Appello riconosceva alla donna 114.000,00 euro a titolo di risarcimento del danno biologico, continuando però a negare il diritto al risarcimento del danno alla vita sessuale. Gli Ermellini con la sentenza 13547/2009 hanno accolto il ricorso della donna e rinviato il giudizio alla Corte d'Appello sottolineando che alla donna dovrà essere riconosciuto un danno maggiore rilevato che "la perdita o la riduzione della sessualità costituisce anche danno biologico e nessuno ormai nega che la perdita o la compromissione anche soltanto psichica della sessualità (come avviene nei casi di stupro e di pedofilia) costituisca di per sè un danno, la cui rilevanza deve essere apprezzata e globalmente valutata".
Conclude il rinvio, che la Corte dovrà anche tener conto delle ripercussioni psichiche che la signora può aver subito in quanto “inibita sessualmente”.

Il corretto aggiornamento del canone di locazione agli indici istat.

Il contratto di locazione spesso contiene la clausola di adeguamento del canone, agli indici istat, (al 75% o al 100%). Si tratta, in sostanza, della previsione contrattuale (sinora sempre riuscita) di una futura svalutazione della moneta. In altre parole, per comprare gli stessi beni che nel 2006 mi bastavano 1.000,00 euro, nel 2009 mi occorrono 1.053,95 euro. I parametri per questa rivalutazione, li fornisce l’Istat.
Il contratto può contenere la clausola di “adeguamento automatico” ossia senza bisogno di alcuna richiesta del locatore, ma può anche non contenerla (come genericamente succede) e dunque il locatore ogni anno deve fare richiesta scritta del canone “adeguato”. In tal ultimo caso è dovuto dal mese successivo alla richiesta. Per gli arretrati, la mancanza di tale richiesta per qualche annualità intermedia, impedisce soltanto l’accoglimento della domanda degli aggiornamenti pregressi. Ma l’aggiornamento va fatto sul canone aggiornato (cioè comprensivo della variazione istat) dell’anno precedente o va fatto sul canone iniziale? La giurisprudenza meno recente aveva interpretato “l’aggiornamento del canone ex articolo 32, legge 392/78 è da effettuarsi con esclusivo riguardo alla variazione Istat, verificatasi rispetto all’anno antecedente alla richiesta di aggiornamento” (Cassazione, 2 ottobre 2003, n. 14673) orientamento mutato e criticato dalla Suprema Corte con la sentenza 5 agosto 2004, n. 15034 per la quale “deve essere calcolato con il criterio della variazione assoluta del canone iniziale dall’inizio del contratto fino alla data della richiesta”

mercoledì 10 giugno 2009

Dipendente in carcere? Non sempre è ammesso il licenziamento.

E’ successo ad una società con oltre 60 dipendenti: il dipendente, assente dal lavoro perché in carcere non andava licenziato. La Sezione lavoro della Cassazione, con la sentenza n.12721/2009, ha stabilito che il detenuto può solo perdere lo stipendio ma non può essere allontanato dal posto di lavoro, così conferma la sentenza della Corte d’ Appello che disponeva la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore finito in carcere per fatti non legati alla sua attività lavorativa.
La Corte Suprema ha sottolineato che occorre valutare le "esigenze oggettive dell'impresa, tenendo conto delle dimensioni della stessa, del tipo di organizzazione tecnico-produttiva, della natura e importanza delle mansioni del lavoratore detenuto, nonchè del maturato periodo di assenza, della prevedibile durata della carcerazione, della possibilità di affidare temporaneamente ad altri le sue mansioni senza necessità di nuove assunzioni". E più in generale "di ogni altra circostanza rilevante ai fini della determinazione della misura della tollerabilità dell'assenza".
Le doglianze dell’azienda – secondo la quale la detenzione del lavoratore aveva prodotto un danno, in quanto l'attività non si poteva consentire alcuna interruzione del normale ciclo produttivo – sono state disattese e così rimosso il licenziamento “per assenza ingiustificata”.

Cassazione: tra moglie e marito il prestito non va restituito.

Con la sentenza n.12551/2009 la Corte ha respinto il ricorso di una donna separata che aveva domandato la restituzione di un prestito di 19mila euro fatto a suo marito per estinguere un mutuo "acceso nel corso del matrimonio per lavori alla casa coniugale e per il ripianamento dei debiti dell'impresa del marito". Gli Ermellini hanno stabilito che, dovendo presumersi l’esistenza della solidarietà coniugale, i 'prestiti' tra i coniugi costituiscono solo una sua modalità di estrinsecazione e dunque impiegati per reciproci e comuni interessi che si manifestano nello spirito del mutuo soccorso, proprio del matrimonio. Non solo, ma dal Palazzaccio arriva anche una “stilettata morale” in quanto si afferma che questo genere di affari dovrebbero rimanere "nella riservatezza della vita familiare". Viene dunque negata solo la tutela giudiziaria, perciò a fronte di un eventuale e spontaneo adempimento dell’obbligato, anche quest'ultimo non potrebbe chiedere “la restituzione”.

martedì 9 giugno 2009

Fondo patrimoniale: attenzione alla revocatoria per fidejussioni pregresse e debiti successivi.

Con la riforma del diritto di famiglia del 1975, è stata introdotta la figura del fondo patrimoniale.
Ai sensi dell'art 167 c.c., questo strumento patrimoniale consente di destinare determinati beni - tutti o parte di essi - sia mobili che immobili – sia personali che comuni – esclusivamente ai "bisogni della famiglia". Costituisce dunque uno strumento patrimoniale aggiuntivo rispetto ai regimi patrimoniali ordinari a disposizione dei coniugi (comunione o separazione) anche scelti o successivamente modificati. La Cassazione (11683/01) stabilisce che esso serve "al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento delle sue capacità lavorative". Il fondo può costituirsi solo con atto pubblico o per testamento, e può costituirsi da uno o entrambi i coniugi, ed anche da un terzo, ma in tal ultimo caso è necessaria l’accettazione dei coniugi. La proprietà dei beni, salvo che non sia stabilito diversamente, spetta ad entrambi i coniugi. L’amministrazione è tipica dei beni in comunione e, ai sensi dell’art. 169 c.c. “non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l'autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessità o di utilità evidente”.
Il patrimonio separato che si viene a formare, è tutelato da un vincolo di inespropriabilità: nel caso in cui i coniugi dovessero contrarre un'obbligazione per assolvere esigenze diverse da quelle familiari tanto che i creditori non potrebbero soddisfare il loro diritto sottoponendo ad esecuzione forzata i beni del fondo.
Ma cosa succede se uno dei coniugi, in periodo anteriore alla costituzione del fondo avesse prestato fidejussione bancaria (o ordinaria) in favore di una società o di un terzo?
Al ruolo di debitore o garante dello stesso, assunto dal coniuge ex ante viene assicurata la prevalenza: in quanto tale, egli risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri dell'inadempimento delle proprie obbligazioni (art. 2740 c.c.).
Ciò pertanto i creditori dell’obbligato hanno la possibilità di agire tramite l'azione revocatoria, facendo dichiarare inefficace, ma solo nei loro confronti, l'atto di costituzione del patrimonio separato.
La Cassazione (4422/2001), rilevato che il creditore ha diritto di soddisfarsi anche sui beni entrati nel patrimonio del debitore dopo l'insorgere del credito, sussiste la revocabilità del fondo poiché il suo diritto (su questi beni) è suscettibile di risultare pregiudicato anche da atti di disposizione che cadano sui beni che ancora non esistevano nel patrimonio del debitore al momento della nascita del credito.
L’art. 2901 c.c. stabilisce come condizione per l’esercizio dell’azione di revocatoria che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore. Nel caso del fideiussore è sufficiente che il terzo contraente (l’altro coniuge) fosse consapevole del pregiudizio. Il pregiudizio può consistere anche nel solo pericolo di un'azione esecutiva infruttuosa. E la consapevolezza, è determinabile per presunzioni "senza che sia data rilevanza all'intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore né la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo". Ultima nota: la Suprema Corte ribadisce che poiché gli effetti dell'azione revocatoria non si estendono al conferimento operato dal coniuge non debitore (o meglio non garante) ne deriva che rimanendo questi estraneo non assumerà la posizione di litisconsorte necessario nel relativo processo.
Per tal motivo, prima dell’atto pubblico, è buona norma accertarsi che non ci siano “pendenze latenti” o fidejussioni pendenti.