domenica 26 aprile 2009

Conto corrente bancario di un prestanome; anche questo risponde dei danni.

La Cassazione (sez. terza civile sent. n. 8127/2009) ha stabilito che il prestanome di conti bancari risponde sempre personalmente per gli illeciti fatti ai terzi, da parte del proprio fiduciario, per il tramite dell’uso dei conti bancari a sé intestati. E tanto anche se è all’oscuro delle operazioni svolte.
Il principio di diritto esposto è: “qualora un soggetto acconsenta, su richiesta di un altro, ad intestarsi un conto corrente in via fiduciaria, cioè con l’intesa che le somme che su di esso transitino sono di pertinenza dell’altro soggetto, che costui avrà in concreto la gestione del conto e che esse saranno, però, utilizzate per lo svolgimento di un’attività lecita di detto soggetto, l’intestatario del conto (fiduciario) è tenuto, per il fatto stesso di apparire verso i terzi come intestatario del conto ed a maggior ragione per il fatto di non averne la concreta gestione, ad esercitare la necessaria vigilanza sul rispetto da parte di quel soggetto della finalizzazione dell’utilizzo del conto corrente esclusivamente all’esercizio di detta attività, conforme agli accordi presi. Ne consegue che, qualora l’intestatario ometta di esercitare tale vigilanza, disinteressandosi completamente della gestione del conto (astenendosi, come nella specie, dal controllare gli estratti conto e rimettendoli senza leggerli all’altro soggetto, firmando assegni in bianco che venivano riempiti dal medesimo e non preoccupandosi neppure di conoscere quale fosse l’importo accreditato), e l’altro soggetto utilizzi il conto corrente per realizzare un illecito in danno di terzi, l’intestatario del conto corrente può rispondere sul piano causale a titolo di imprudenza e negligenza, ai sensi dell’art. 2043 c.c., del danno cagionato ai terzi per effetto dell’illecito”.

Pronuncia penale di stalking dell'ex marito.

La Sesta sezione penale della Corte (sentenza n.16658/2009) su ricorso avverso la decisione del Tribunale del Riesame (cd. Tribunale della Libertà), si è pronunciata su un caso di stalking di un ex marito livornese ai danni della consorte.
In sostanza lui frequentava la casa coniugale ed aveva anche preso la residenza nei pressi della stessa, per meglio controllare la sua ex. L’uomo che risulta affetto dalla "sindrome dell'assalitore assillante", aveva tenuto un comportamento, talmente ossessivo da costringere la sua ex a farsi accompagnare al lavoro o in altri posti da un agente di sicurezza. Contrariamente alla decisione del gip del Tribunale di Livorno, il Tribunale del Riesame aveva ritenuto più che giustificata la misura coercitiva dell’allontanamento dalla casa coniugale.
Il Supremo Collegio si è pronunciato spiegando che la misura non è affatto eccessiva e che anzi si tratta di una misura "sin troppo mite in rapporto alla gravità del comportamento lesivo". Per questo, al livornese è stato inibito di frequentare "la ex casa coniugale, i luoghi dove la ex consorte è solita recarsi, da sola o con le figlie, nonchè i luoghi di abituale frequentazione della donna e di domicilio della sua famiglia di origine e dei suoi prossimi congiunti".
Una personale riflessione: sulla individuazione dei domicili anagrafici conosciuti nulla quaestio, ma sui luoghi “dove è solita recarsi la donna” mi sembra un concetto abbastanza generico, facilmente interpretabile e di difficile applicazione pratica: da un lato esclude alla donna la frequentazione esclusiva di luoghi nuovi, e dall’altro obbligherebbe l’uomo ad informarsi e documentarsi sui luoghi frequentati dalla donna (aumentando la pressione che si vuole evitare. ..)

Pianta in asso il marito. Deve risarcire il danno.

Gli Ermellini della sesta sezione penale, (sentenza 14981/2009) hanno ritenuto che l'allontanamento di una moglie, la quale lascia una lettera al marito e parte con l'amico portandosi la figlia minorenne, costituisce violazione dei doveri nascenti dal matrimonio (in particolare quello di assistenza familiare) ed integra la fattispecie del reato di abbandono, se poi al loro rientro, lei gli comunica anche di volerlo lasciare. Per questo è stata obbligata a risarcire il danno patito dal marito.

lunedì 13 aprile 2009

Società per Azioni: la relazione della società di revisione di bilancio, assurge a prova documentale nel processo tributario.

Notevole importanza processuale e sostanziale assume la relazione delle società di revisione dei bilanci con la sentenza in commento.
La Corte di Cassazione Sez. Tributaria sent. N. 5926/2009 ha stabilito che la relazione della Società di revisione costituisce prova dei costi in bilancio delle grandi aziende che ivi sono esposti, a meno che il Fisco non riesca a dare la prova contraria documentale a dimostrazione dell’errore del revisore. Nella sentenza si sottolinea che “ogni volta che la relazione di revisione venga messa a disposizione dell’ufficio tributario e del giudice tributario, le autorità devono tenerla in conto, non [a titolo] di presunzione iuris tantum della veridicità delle scritture, perché manca una norma legislativa che le attribuisca tale forza, ma di documento incorporante enunciati sui quali sia l’ufficio tributario sia il giudice tributario si devono pronunciare e che possono essere privati della loro forza dimostrativa dei fatti attestati solo mediante la prova contraria”.

La Cassazione dice basta ai ritardi e al lassismo del dipendente pubblico.

Tra tanti dipendenti che onestamente lavorano, c'è sempre l'eccezione.
La Sesta Sezione Penale della Corte Suprema, con la sentenza n. 14466/2009 ha ribadito i principi espressi nei precedenti gradi d’Appello e di Tribunale confermando una condanna ai sensi dall'art. 328 c.p. per omissione di atti d'ufficio, inflitta ad un ingegnere addetto ai servizi tecnici comunali che non aveva dato risposta a una formale richiesta di una cittadina.
Nella sentenza si precisa che ''… una volta individuato l'interesse qualificato alla conoscenza da parte del richiedente, anche la risposta negativa dell'ufficio adito, in termini di indisponibilità, oppure di parziale disponibilità della documentazione richiesta, fa parte del contenuto dell'atto dovuto al cittadino, il quale, sull'informazione negativa, può organizzare la sua strategia di tutela, oppure rinunciare in modo definitivo ad ogni diversa sua pretesa''. La rigidità della norma, spiega la Corte, è ''posta a tutela del privato ed è strutturata in modo da impedire sacche di indebita inerzia nel compimento di atti dovuti''.
Per completezza occorre ricordare che il nostro ordinamento consente anche una tutela amministrativa per i medesimi casi.

Risarcimento danni da fumo indiretto.

I proprietari di un appartamento erano costretti, d’estate e d’inverno, a tenere le finestre costantemente tappate a causa delle esalazioni di fumo di sigaretta provenienti da un bar sottostante. Gli Ermellini del Palazzaccio, con la sentenza 7875/2009 hanno confermato il risarcimento fissato dai giudici di merito in Euro 10.000,00 per danni subiti dalla famiglia. Nelle pronunce si è evidenziato che la famiglia era stata costretta "a subire gli effetti molesti, fastidiosi e insalubri del fumo passivo e dunque a tenere chiuse le finestre anche in piena estate per tutelare la propria salute". Di qui una limitazione del “… modo di vivere la casa dei danneggiati e questo individua ciò che può essere liquidato come danno non patrimoniale”.

domenica 5 aprile 2009

Lo Stato può chiedere le imposte al lavoratore, se il suo datore non le paga.

La Corte di Cassazione Sez. Tributaria sent. 7 aprile 2009 n. 8316, richiamando un’altra sentenza della stessa sezione (n.14033/2006) ha ribadito che l’irpef che non è stata versata dal datore di lavoro, può essere richiesta direttamente al lavoratore.
Tanto sul presupposto che il debitore principale di tali somme è il lavoratore che percepisce le somme, rimanendo il datore di lavoro nella posizione di “sostituto d’imposta”. Di qui il principio per il quale “il contribuente, che abbia percepito somme soggette a ritenuta alla fonte a titolo di acconto, resta debitore principale dell’obbligazione tributaria: pertanto, qualora il sostituto non abbia versato all’erario l’importo della ritenuta, l’amministrazione finanziaria può rivolgersi direttamente al contribuente per ottenere le somme dovute a titolo di imposta”.
Al lavoratore, ovviamente, non rimane che la successiva azione di rivalsa verso il proprio datore di lavoro qualora questi abbia operato la effettiva trattenuta; salvo eventuali profili anche penalistici…

L’anatocismo del conto corrente e la prescrizione.

Tanti amici e clienti ci hanno chiesto di dare chiarimenti su questo aspetto che quotidianamente ci capita.
Tutti gli utenti bancari sanno che l’estratto conto inviato dalla banca, se non contestato, si intende approvato. Lo stesso art. 1832 c.c. prevede, proseguendo, la possibilità di impugnarlo, per i soli errori di scritturazione, entro i successivi sei mesi.
Se invece le iniziali clausole contrattuali (o omissioni) fossero nulle, come quelle sull’anatocismo trimestrale o su un tasso di interesse indeterminato tipo “usi piazza”, la relativa azione è imprescrittibile ex art. 1422 c.c. In altre parole il giudice deve comunque stabilire che quelle specifiche condizioni sono da ritenersi nulle e questo lo si può chiedere in ogni momento. Quello che però, comunque si prescrive, è il diritto ad ottenere la restituzione di quanto si fosse pagato “a causa” delle previsioni (dichiarate o accertate) nulle: restituzione o abbattimento del debito, ovviamente…. Questo diritto si prescrive in dieci anni.
Copiosa giurisprudenza specifica che il conto corrente deve ritenersi come un contratto unitario, caratterizzato da un rapporto unitario, costituito da una pluralità di atti esecutivi e dove i singoli addebitamenti o accreditamenti non danno luogo a distinti rapporti ma determinano solo variazioni quantitative dell’unico originario rapporto. Per questo solamente con il saldo finale (chiusura del conto) si stabiliscono definitivamente i crediti ed i debiti fra le parti.
Allora la prescrizione decorre proprio dalla chiusura del conto corrente, sia quando lo chiude il correntista (magari con il pagamento anche rateizzato, del saldo negativo), sia quando lo chiude l’istituto bancario (eventualmente con il “passaggio a sofferenza”).
Perciò fino a dieci anni dopo la chiusura del conto, il correntista ha possibilità di “rivedere” il suo rapporto con la banca.

Photored. (Multe per il semaforo rosso) Nulle o non nulle?

Negli ultimi giorni il Giornale, il Messaggero, siti di consumatori, strombettavano ai quattro venti la possibilità di una massiccia impugnativa dei ricorsi contro i famigerati photored (gli apparecchi che fotografano gli automobilisti che non rispettano il semaforo rosso) in forza di una recente sentenza della cassazione (7388/2009) che annullava detta multa nel presupposto di una sostanziale incertezza e (possibile) indeterminatezza della sanzione se il semaforo non fosse effettivamente vigilato dagli agenti di polizia e questi non si fossero concretamente adoperati per la contestazione immediata della infrazione. Di qui la previsione di valanghe di ricorsi avverso le dette multe.
FERMI. Le cose non paiono essere proprio così. La sentenza citata si riferisce ad una infrazione dei primi del 2003 (di solito la Cassazione non interviene, né potrebbe, il giorno dopo l’accaduto…). Ed effettivamente il Codice della Strada del 2003 prevedeva l’obbligo della contestazione immediata, perciò quella multa e solo quella, è stata annullata.
Il 13 agosto 2003, però, è entrata in vigore la legge 214/03 di conversione del Dl 151/03, che ha introdotto nell'articolo 201 del Codice i comma 1-bis e 1-ter (comma 1-bis: Fermo restando quanto indicato dal comma 1, nei seguenti casi la contestazione immediata non è necessaria e agli interessati sono notificati gli estremi della violazione nei termini di cui al comma 1: ......b) attraversamento di un incrocio con il semaforo indicante la luce rossa; mentre il comma 1 ter: Nei casi previsti alle lettere b), f) e g) del comma 1-bis non è necessaria la presenza degli organi di polizia qualora l'accertamento avvenga mediante rilievo con apposite apparecchiature debitamente omologate). L’omologazione viene fatta dal ministero il quale, ha riomologato tutti gli apparecchi che avevano quei requisiti, il 18.03.2004. Da questo giorno, tutte le multe fatte con questi apparecchi sono pienamente valide e legittime. Nel caso dei semafori, il ministero ha imposto, tra l'altro,che gli apparecchi scattino almeno due foto, una all’inizio della manovra una alla fine, per essere certi che chi viene ritratto abbia iniziato ad attraversare l'incrocio quando era già rosso togliendo il dubbio (avanzato dalla sentenza 7388/09) che si possa essere puniti anche quando ci si trova involontariamente nell’incrocio, per motivi di traffico, pur avendo iniziato la manovra con il verde.
Diceva un noto personaggio televisivo: se le cose non le sai,… salle! Quasi a voler sottolineare un dovere di conoscenza che vada oltre il superficiale…
Il mio parere?... al semaforo rosso è meglio fermarsi!