lunedì 14 giugno 2010

Altra fonte di reddito (non tassata) per i sindacati: la costituzione di parte civile anche per un lavoratore non iscritto.

La Corte di Cassazione con la sentenza 22558/2010 ha affermato che le associazioni a difesa dei lavoratori possono costituirsi parte civile contro le aziende per gli infortuni sul lavoro, e questo anche se la vittima non era iscritta al proprio sindacato.
Nel caso specifico il capocantiere ed il responsabile della sicurezza di una ditta di costruzioni, furono riconosciuti colpevoli di omicidio colposo per la morte sul lavoro di un operaio edile, deceduto dopo un brutto incidente mentre conduceva una gru. Oltre ai 10 mesi di carcere, ed il risarcimento alla vedova, la Corte ha confermato sia la legittimità della costituzione in giudizio dei tre maggiori sindacati, sia il risarcimento di 15.000 euro ciascuno.
La sentenza recita:"Il mutato quadro di riferimento porta a ritenere ammissibile, senza il predetto limite della iscrizione, la costituzione di parte civile dei sindacati nei procedimenti per reati di omicidio o lesioni colpose commesse con violazione della normativa antinfortunistica, dovendosi ritenere che l'inosservanza di tale normativa nell'ambito dell'ambiente di lavoro possa cagionare un autonomo e diretto danno, patrimoniale (ove ne ricorrano gli estremi) o non patrimoniale, ai sindacati per la perdita di credibilità all'azione dagli stessi svolta".
Una nota personale. Basta disuguaglianze: la certezza del diritto è qualcosa che va recuperata, non minata, di questo credibilità ne possono aver sofferto in astratto qualunque associazione si occupi di lavoratori… e poi si prenda posizione sui redditi tuttora non tassati dei sindacati.
(Avv. Angelo Remedia)

Lo Stato non riconosce l’attività di prostituzione, ma il fisco vuole le tasse!

L'attività di prostituzione non viene riconosciuta dallo Stato come attività lecita e produttiva di redditi leciti e dunque tassabili, ma lo stesso tramite l'Agenzia delle Entrate impone che i proventi siano assoggettati al fisco tra i “redditi diversi”. Questo è quanto risultato dalla sentenza 109/10/10 della Commissione tributaria regionale del Lazio depositata lo scorso 3 maggio: dove la prova della attività illecita è stata riconosciuta in capo alla “contribuente” e, siccome non è riuscita a dimostrarlo sono assoggettati alla imposizione fiscale.
Nei fatti la ricorrente subì un accertamento fiscale ancorato agli incrementi patrimoniali che la donna aveva ascritto all'attività più antica del mondo. Già la Commissione provinciale di Viterbo le aveva rigettato l’impugnativa. Ora anche quella Regionale: "la ricorrente ritiene di svolgere l'attività di prostituta ma non fornisce la prova", ancora "la contribuente ha allegato solo due verbali di denuncia resa ai Carabinieri di Lodi, da cui si rileva che l'attività è stata svolta solo in quei due giorni". Orbene siccome la donna non è riuscita a dimostrare la illiceità dei redditi (dichiarati) con i quali aveva formato il suo patrimonio, lo Stato vuole le tasse perché ritiene debbano rientrare nella categoria dei redditi "diversi" (e leciti).
Una nota personale: non sarebbe opportuno che il Parlamento faccia un passo (qualunque) e decida definitivamente qualcosa sul problema della prostituzione?
(Avv. Angelo Remedia)

Multe con autovelox annullabili se lo scontrino è corretto a mano.

Quando lo scontrino dell'autovelox contiene dei dati sbagliati ed anche corretti a mano dall’agente, la multa può essere annullata. Nella sentenza n. 13887/2010 della seconda sezione civile della suprema Corte infatti, si legge che i dati errati costituiscono un chiaro indice di un mal funzionamento del dispositivo. Con detta motivazione, la Cassazione ha accolto il ricorso di un automobilista a cui era stata convalidata dal Giudice di Pace una multa per eccesso di velocità. L'automobilista aveva impugnato la sanzione facendo rilevare che lo scontrino dell'autovelox indicava la data del giorno prima e che per questo il dispositivo risultava inaffidabile e non controllato. Secondo la Corte, il fatto che la data fosse sbagliata può "fondatamente" fare ritenere che ci siano "elementi di dubbio sul funzionamento dell'apparecchio" che potrebbe avere sbagliato anche sul rilevamento della velocità.
Nel caso specifico gli agenti avevano notato l'anomalia ed avevano corretto a mano la data e questo era bastato per il Giudice di Pace a considerare valida la sanzione irrogata; la Cassazione si è invece pronunciata al contrario.
(Avv. Angelo Remedia)

venerdì 4 giugno 2010

Il commercialista risponde del reato di bancarotta se ha suggerito e guidato attività fraudolente alla società.

Il 24 maggio 2010 con la sentenza n.19545, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione, ha sanzionato un commercialista per una attività illecita, tipica dell’imprenditore.
Nella sentenza -la Corte ha stabilito che anche il commercialista, risponde di bancarotta fraudolenta se assume la “guida tecnica” delle operazioni illecite.
La Corte ha infatti precisato che il commercialista, peraltro appartenente al Collegio dei Sindaci, “ha ammesso il suo ruolo di guida tecnica in tutte le attività di trasferimenti spoliativi dei beni della società”. In più “i giudici di merito hanno anche messo in risalto che egli indirettamente partecipò alla distrazione degli strumenti di ufficio, acquistandoli attraverso la società: si tratta di un episodio di modesto rilievo contabile, ma di altissimo rilievo dimostrativo, ai fini del convincimento della totale abnegazione del ricorrente nella costruzione e nello sviluppo del piano finalizzato alla scomparsa giuridica dei beni di massimo valore, tanto da spingersi, dal ruolo di regia e di comando nella tecnica fraudolente, a quello di diretto occultatore di beni residui”.
Sulla difesa del professionista ha precisato la Corte che “l’ipotesi che queste condotte rivestano esclusivamente un carattere di illiceità deontologica, sanzionabile all’interno della disciplina della categoria professionale di appartenenza, in quanto contrastante con un elementare visione del vigente ordinamento giuridico, ugualmente è al di fuori delle argomentazioni meritevoli di esame”.
(Avv. Angelo Remedia)

La decurtazione dei punti della patente va comunicata tempestivamente. Altrimenti è illegittima la revisione della patente.

Sul ricorso di un automobilista contro la revisione della patente disposta dalla motorizzazione, il Tribunale Amministrativo della Lombardia, con la sentenza n. 1670 del 26 maggio 2010, ha stabilito che la revisione della patente è illegittima se l’azzeramento dei punti sulla patente viene comunicato con ritardo.
I giudici amministrativi hanno ritenuto infatti il provvedimento illegittimo in quanto “l’avere l’amministrazione resistente omesso di effettuare le prescritte comunicazioni, tempestivamente e per ciascuna singola variazione di punteggio, concreta il vizio di violazione di legge dedotto dal ricorrente il quale, in conseguenza, non è stato posto in condizioni di apprestare i rimedi previsti per il recupero dei punti sottratti”. Il Tar ha poi specificato che “l’istituto introdotto dal legislatore importa che ciascuna variazione di punteggio sia comunicata agli interessati dall’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida (art. 126 bis cit. ), onde consentire al conducente la frequenza degli appositi corsi di aggiornamento (organizzati dalle autoscuole ovvero da soggetti pubblici o privati a ciò autorizzati dal Dipartimento per i trasporti terrestri) che consentono di riacquistare una parte dei punti persi.” Inoltre, “l’atto con cui si dispone la revisione di una patente di guida, […] non presenta caratteristiche di urgenza, tali da escludere l’obbligo della previa comunicazione ai sensi dell’art. 7 l. n. 241 del 1990”.
(Avv. Angelo Remedia)

Riprese audiovisive all’esterno: non sempre sono lecite.

I principi guida sono: il rispetto della privacy, l’esigenza di riservatezza, la concreta situazione di fatto e la in equivoca rinuncia anche tacita a tale diritto.
Nella sentenza n. 47165/2010 la Corte di Cassazione ha esaminato il caso il caso di una coppia condannata dai giudici di primo grado che di appello. per interferenze illecite nella vita privata (art. 615 bis c.p.), perchè avevano effettuato riprese con una telecamera alle figlie dei vicini di casa mentre giocavano nel giardino confinante. Ha cassato la sentenza e rinviato il giudizio al giudice di secondo grado per una revisione del processo seguendo questi principi. Rilevato che "le scene captate erano agevolmente percepibili ad occhio nudo, non esistendo ostacoli fisici alla visione del giardino confinante da parte dell'abitazione degli stessi", può escludersi l'integrazione del reato punito dall'art. 615 bis c.p.
In altre parole il Collegio spiega che una normale ripresa in un ambiente esterno può diventare illecita quando si adottano sistemi per superare quei normali ostacoli che impediscono di intromettersi nella vita privata altrui.
Per questo, la Corte aggiunge "è necessario bilanciare l'esigenza di riservatezza (che trova presidio nella normativa costituzionale quale espressione della personalità dell'individuo nonchè la protezione del domicilio, pur esso assistito da tutela di rango costituzionale, che dispiega severa protezione dell'immagine), e la naturale compressione del diritto imposta dalla concreta situazione di fatto o, ancora, la tacita, ma inequivoca rinuncia al diritto stesso, come accade nel caso di persona che, pur fruendo di un sito privato, si esponga in posizione visibile da una pluralità indeterminata di soggetti".
(Avv. Angelo Remedia)