domenica 21 febbraio 2010

Vendita in blocco e vendita cumulativa. Effetti sulla prelazione immobiliare del conduttore.

Con la sentenza 23749/2008 la Cassazione ha tracciato un solco nelle vendite immobiliari ai fini del correlativo diritto del conduttore, di prelazione nell’acquisto.
“…in tema di locazione di immobili urbani ad uso diverso da quello d'abitazione, …, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell'affermare che i detti diritti di prelazione e riscatto non sorgono in favore del conduttore … qualora la alienazione a terzi riguardi, alternativamente, o l'intero edificio nel quale si trova l'immobile locato o una parte dello stabile medesimo costituente un complesso unitario, con individualità propria diversa da quella della singola unità locata (cd. vendita in blocco), mentre sussistono [i diritti di prelazione] in presenza della vendita a terzi di più unità immobiliare, ancorchè, per ipotesi, nello stesso corpo di fabbrica, ma non strutturalmente omogenei [confinanti] nè funzionalmente coordinati (cd. vendita cumulativa) (In questo senso, ad esempio, tra le tantissime, Cass. 20 dicembre 2007, n. 26981).”
Prosegue la Corte che è del tutto ininfluente l’animus dell’acquirente che voglia in futuro unire funzionalmente gli immobili, è invece necessario che l’intero complesso immobilare “…sia dotato di una propria oggettiva ed effettiva individualità strutturale e funzionale, tale da non essere oggettivamente frazionabile in distinti trasferimenti delle singole porzioni di fabbricato..”
Concludendo, se la vendita riguarda diverse unità immobiliari tra loro collegate fisicamente perché confinanti, oppure sono funzionalmente coordinate nella loro possibilità di utilizzo, si è in presenza di una “vendita in blocco” che esclude la sussistenza della prelazione del conduttore in locazione non abitativa; se non sussiste il collegamento fisico o funzionale tra gli immobili, si è in presenza di una “vendita cumulativa” o plurima e come tale soggetta alla prelazione ed al riscatto del conduttore dell’immobile ceduto.
(Avv. Angelo Remedia)

Il lavoratore improduttivo può (e deve) essere licenziato. Parola di Cassazione.

La sentenza 3125/2010 della sezione lavoro della Cassazione ha reiterato un principio fondamentale del rapporto lavorativo tra azienda e dipendente: l’obbligo della diligente collaborazione dovuta dal lavoratore.
In particolare gli Ermellini hanno sottolineato che le aziende possono legittimamente licenziare il lavoratore nel caso in cui dimostrino che sussiste una significativa sproporzione tra la media produttiva degli altri dipendenti e quanto il singolo lavoratore riesce effettivamente a realizzare. Pressocchè ininfluente la circostanza che il lavoratore risulti impiegato solo da pochi mesi in quanto se all’inizio del rapporto di lavoro si può comprendere una certa difficoltà di adattamento a mansioni che possono essere nuove, tale adattamento non può essere superiore ad un paio di mesi se si tratta di mansioni semplici, manuali e ripetitive. Nel caso esaminato, la Suprema Corte ha sentenziato che la Corte d’Appello aveva correttamente accertato una evidente violazione della diligente collaborazione del dipendente.
Una riflessione personale: nel caso esaminato la sproporzione era fortemente determinata da una componente volontaria del lavoratore contraria agli interessi dell'azienda; in questi casi è salutare per l'impresa togliere la "mela marcia dal paniere sano".
(Avv. Angelo Remedia)

domenica 14 febbraio 2010

Anche i fallimenti devono avere una “ragionevole durata”.

La sentenza 28318/09 della Corte di Cassazione ha indicato in 7 anni la durata normale o meglio ragionevole che deve avere una procedura fallimentare, oltre i quali è possibile chiedere il risarcimento. Gli Ermellini richiamando un orientamento della Corte di Giustizia Europea hanno ribadito che questo termine tiene conto anche del tempo necessario per definire nei vari gradi di giudizio i procedimenti incidentali nati dal fallimento (6 anni in totale) e il tempo necessario per il riparto dell'attivo (un anno).
Nella motivazione della sentenza la Corte aggiunge di aver tenuto conto della particolare complessità delle procedure specificando che: "Nel fissare il termine di ragionevole durata, nella valutazione della complessità della vicenda processuale, deve quindi tenersi conto delle fasi strumentali alla definizione dei rapporti e della liquidazione dei beni, rilevanti in quanto incidenti sulla complessità del caso, ferma restando la necessità di estendere il sindacato anche alla durata di dette cause, ed alle ragioni delle medesime, avuto riguardo alla loro obbiettiva difficoltà ed alla mole dei necessari incombenti".
(Avv. Angelo Remedia)

Consenso informato: limiti risarcitori, onere della prova del medico e del paziente.

Con la sentenza 2847/2010, la 3° sezione della Corte di Cassazione ha fatto chiarezza in materia di consenso informato. Nello specifico ha ribadito il diverso onere della prova che incombe sulle parti. Sicché nel caso in cui il medico abbia omesso di informare il paziente sui rischi e sulle caratteristiche di un determinato intervento, la correlativa richiesta risarcitoria del paziente - per danni derivati con il peggioramento delle sue condizioni di salute - può essere accolta solo nel caso in cui provi che, qualora fosse stato correttamente informato dei rischi, avrebbe rifiutato di sottoporsi all'intervento stesso.
Senza questa specifica prova, il paziente potrebbe domandare solo il risarcimento del danno per la lesione del proprio diritto di autodeterminazione.

Per altro verso si sottolinea che l'intervento stesso del medico, anche solo in funzione diagnostica, importa comunque l'instaurazione di un rapporto di tipo contrattuale. Ne consegue che, effettuata anche solo la visita diagnostica (in esecuzione del contratto), l'illustrazione al paziente delle conseguenze (certe o incerte che siano, purché non del tutto anomale) della terapia o dell'intervento che il medico reputa necessari o opportuni ai fini di ottenere, il necessario consenso del paziente all'esecuzione della prestazione terapeutica, costituisce un obbligo del medico. Quest’ultimo dovrà darne compiuta prova a fronte della semplice negazione del paziente.
In conclusione "per addossare al medico le conseguenze negative dell'intervento, necessario e correttamente eseguito, sarebbe occorso addivenire alla conclusione che la paziente non vi si sarebbe sottoposta se fosse stata adeguatamente informata, non potendosi altrimenti affermare la sussistenza di nesso dì causalità tra la violazione (omessa informazione) e il bene giuridico che si assume leso (la salute)".
(Avv. Angelo Remedia)

Al lavoratore va attribuita la qualifica relativa alle mansioni di fatto svolte, anche se formalmente le mansioni erano assegnate ad un superiore.

"Al fine di escludere il diritto del dipendente alla superiore qualifica (...) non è sufficiente che il datore di lavoro, nell'esercizio del suo potere organizzativo, conferisca ad altri dipendenti la titolarità formale delle mansioni stesse, ovvero degli elementi più qualificanti delle stesse": con questa motivazione, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 27825/2009, ha respinto il ricorso delle Poste contro la denuncia di un dipendente che voleva vedersi riconosciute le mansioni svolte, diverse da quelle certificate sul contratto di lavoro ma di fatto svolte, seppur contemporaneamente attribuite ad altro dirigente. Con questa sentenza i giudici di Piazza Cavour segnano un punto a favore dei diritti dei lavoratori, da oggi più tutelati circa le mansioni effettivamente svolte in azienda.
(Dr. Luigi Napolitano)

sabato 6 febbraio 2010

La cancellazione del protesto bancario prima della decorrenza dell’anno? Ora è ammissibile.

La pronuncia è di un Tribunale marchigiano, il quale ha accolto il ricorso d’urgenza di un imprenditore protestato per mancanza di fondi, ma che aveva onorato quanto dovuto successivamente, ma la banca non aveva provveduto alla cancellazione e/o alla rettifica sulle banche dati pubbliche.
L’importanza della sentenza risiede principalmente nello “slalom giuridico” compiuto per raggiungere una tutela fino a questo momento mai attuata e che rappresenta una pronuncia da “Bastian contrario”.
Proviamo a sintetizzarne i principi: la legge 12 febbraio 1955, n. 77, mentre prevede che il debitore protestato su cambiale o vaglia cambiario, ha diritto di ottenere la cancellazione del proprio nome dal registro informatico qualora, entro il termine di dodici mesi dalla levata del protesto, provveda al pagamento del titolo e di tutti gli accessori, non consente, invece, al traente di un assegno bancario, di ottenere la cancellazione del proprio nome dal medesimo registro informatico anche qualora esso abbia adempiuto nel termine di 60 giorni dal protesto, negandogli quindi la possibilità di ottenere la cancellazione del proprio nome dal registro informatico dei protesti. Della questione, si è occupata anche la Corte Costituzionale sulla disparità di trattamento delle situazioni molto simili tra loro, ma ha confermato l’impianto della legge.
Così oggi è stata posta una nuova questione al vaglio del Tribunale, ossia la legittimità alla detenzione ed alla pubblicazione di dati non (più) veritieri – ossia lo status di debitore - nel Registro dei Protesti, nonostante l'avvenuto pagamento, perché contrasta apertamente con i principi affermati dal D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 in materia di privacy. Tutto con particolare attenzione all’inevitabile danno (di reputazione commerciale e di negato accesso al credito) derivante dal permanere dei dati non veritieri. Il Tribunale ha ritenuto ammissibile ed accolto il ricorso ex art. 700 c.p.c.
(Avv. Angelo Remedia)

Il doppio requisito di pubblicità del fondo patrimoniale.

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza del 13 ottobre 2009, n. 21658, ha fissato quali siano i criteri indispensabili affinché lo strumento del fondo patrimoniale possa effettivamente preservare la sicurezza economica della famiglia dalle eventuali aggressioni di creditori e dunque essere opponibile ai terzi.
Così il Supremo Collegio precisa che se il fondo patrimoniale è costituito anche da beni immobili, occorre una doppia pubblicità: la trascrizione nei registri immobiliari e l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio. Infatti, soltanto con la doppia pubblicità si realizza a pieno la conoscenza dei terzi ed i coniugi eviteranno eventuali aggressioni dei creditori ai beni di famiglia.
La Suprema Corte puntualizza questo principio, conformandosi al consolidato orientamento giurisprudenziale per il quale la costituzione del fondo patrimoniale, poiché rientra, tra le convenzioni matrimoniali regolate dall'art. 162 del Codice civile, per essere opponibile ai terzi necessita l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio, mentre il vincolo di destinazione sugli immobili è soggetto alla trascrizione prevista dall'art. 2647 c.c..
Per completezza ricordiamo che se l’atto non è opponibile ai terzi, esso ha mera efficacia interna e dunque per l’eventuale aggressione creditoria non è neppure necessaria una preventiva azione revocatoria del fondo patrimoniale.
(Avv. Angelo Remedia)

Il danneggiato ha diritto anche all’importo dell’Iva indicata in preventivo nonché al c.d. “fermo tecnico” nel caso di mancato utilizzo del mezzo.

La Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile – con la sentenza del 27 gennaio 2010, n.1688 in materia di risarcimento danni da incidente stradale a favore dei danneggiati ha affermato che il risarcimento del danno deve estendersi anche agli oneri accessori e conseguenziali, dunque, se esso è liquidato in base alle spese da affrontare per riparare un veicolo, il risarcimento deve comprendere anche l'IVA, pur se la riparazione non è ancora avvenuta.
Inoltre, ha affermato che è possibile la liquidazione equitativa del c.d. danno da fermo tecnico anche in assenza di prova specifica, essendo sufficiente la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo. L'Autoveicolo, osserva la Suprema Corte è, infatti, fonte di spesa (tassa di circolazione, premio di assicurazione) anche durante la sosta forzata per le riparazioni, spesa comunque sopportata dal proprietario, ed è altresì soggetto a un naturale deprezzamento di valore.
(Avv. Gianluca Brogi)

Cassazione Civile: risarcimento del danno patito per mancata autotutela della Pubblica Amministrazione.

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di illegittima pretesa tributaria: alla domanda "se, in linea di principio la P.A. possa essere responsabile ai sensi dell'articolo 2043 Codice Civile per il mancato o ritardato annullamento di un atto illegittimo, nell’esercizio del potere di autotutela, ove tale comportamento arrecasse danno al privato, o se ciò costituisse violazione ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico" la Cassazione ha risposto positivamente.
La Terza Sezione Civile della Suprema Corte, con la sentenza 19 gennaio 2010, n.2010 ha dichiarato che: ove il provvedimento di autotutela non venga tempestivamente adottato, al punto di costringere un privato cittadino ad affrontare spese legali e d'altro per proporre ricorso e per ottenere per questa via l'annullamento dell'atto, la responsabilità della P.A. è innegabile e permanente. Si tratta dunque dell'accertamento che il danno conseguente all'atto illegittimo, ha prodotto tutti i suoi effetti, poiché la P.A. non è intervenuta tempestivamente ad evitarli, con i mezzi che la legge le attribuisce.
(Dr. Luigi Napolitano)