lunedì 29 marzo 2010

Un sospiro di sollievo per gli automobilisti tartassati: gli autovelox devono essere gestiti esclusivamente dalla polizia.

Gli autovelox devono essere gestiti dalla polizia stradale: ogni utilizzo da parte di soggetti privati, configura abuso d’ufficio, perseguibile ai sensi dell’art. 323 del codice penale: lo ha stabilito la sesta sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 10620, depositata il 17 marzo 2010.
Nello specifico leggiamo che “..l’accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale ricade tra le attività prevista dall’art. 11 lett. a) del codice stradale e quindi costituisce servizio di polizia stradale non delegabile a terzi” inoltre “le apparecchiature eventualmente utilizzate per tale accertamento debbono essere gestite direttamente da parte degli organi di polizia stradale e devono essere nella loro disponibilità”.
Anche questo costituisce motivo per chiedere l’annullamento delle correlative multe rilevate.
(Avv. Angelo Remedia)

Gli ampi poteri decisionali fanno acquisire la qualifica di dirigente a prescindere dalla procura speciale del datore di lavoro.

Ancora una volta la Cassazione ribadisce il concetto della prevalenza delle mansioni di fatto espletate, contro l’apparenza contrattuale che disciplina il rapporto di lavoro. Con la sentenza n. 5809 del 10 marzo 2010, infatti, la Suprema Corte ha respinto il ricorso di un consorzio confermando il riconoscimento della qualifica di dirigente in favore di un lavoratore al quale era stata data "un'ampia autonomia gestionale" come la gestione di fatture per oltre un milione e mezzo di euro. Confermata così la decisione del giudice di secondo grado, la Corte ha sottolineato che "il giudice di merito ha compiuto le operazioni logiche indicate, accertando i requisiti - soprattutto contrattuali - per l'individuazione della figura professionale del dirigente, ha accertato le mansioni con il relativo grado di autonomia gestionale e decisionale ed ha proceduto al necessario raffronto, per concludere che la qualifica dirigenziale spetta al lavoratore.” Nella sentenza si legge inoltre che "ai fini del riconoscimento della qualifica dirigenziale è necessario e sufficiente che sia dimostrato l'espletamento di fatto delle relative mansioni, caratterizzate nella specie dalla preposizione a più servizi con ampia autonomia decisionale. Affermare la necessità del rilascio di procura speciale significa subordinare il riconoscimento della qualifica ad un atto discrezionale del datore di lavoro, di per sé insindacabile, con conseguente violazione del principio della corrispondenza della qualifica alle mansioni svolte, norma questa inderogabile a danno del lavoratore. In altri termini, pur in presenza di tutti i requisiti per il riconoscimento della qualifica di dirigente, il riconoscimento stesso verrebbe subordinato al consenso del datore di lavoro".
(Avv. Angelo Remedia)

"Serve un uomo". Per la Cassazione è reato.

Costituisce un'offesa a tutti gli effetti che fa scattare la condanna penale ed il risarcimento a favore delle donne. In questo modo la quinta sezione penale ha reso definitiva una condanna per diffamazione con tanto di risarcimento nei confronti di una giornalista di un quotidiano e del suo interlocutore, un sindacalista della Cisl, colpevoli di aver pubblicato un articolo sul carcere di Arienzo (CE) diretto da una direttrice donna, in cui si diceva testualmente 'Carcere, per dirigerlo serve un uomo'.
La quinta sezione penale della Cassazione, con la sentenza 10164 del 2010, ha respinto il ricorso e ha evidenziato che correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che la frase 'sarebbe meglio una gestione al maschile' è "oggettivamente diffamatoria ed è da sola idonea ad affermare la responsabilità sia dell'intervistato che dell'intervistatore"."La censura mossa alla persona offesa è sganciata da ogni dato gestionale ed è riferita al solo fatto di essere una donna. E' un gratuito apprezzamento...contrario alla dignità della persona perché ancorato al profilo, ritenuto decisivo, che deriva dal dato biologico dell'appartenenza all'uno o all'altro sesso".
(Dott. Luigi Napolitano)

domenica 21 marzo 2010

Cade in revocatoria il pagamento fatto dalla società fallita alle banche, per debiti dei soci.

Il massimo organo della Corte di Cassazione ha riaffermato il principio di cui all'art. 64 legge fall. Ossia e più in generale, sono inefficaci i pagamenti posti in essere dal soggetto fallito in favore di un terzo e che non hanno avuto – per sé - un vantaggio patrimoniale.
Il caso riguarda una società fallita che aveva pagato al Monte dei Paschi di Siena i debiti dei suoi soci; debiti per oltre 1 milione di euro. La curatela aveva chiesto l'annullamento del pagamento e, il Tribunale di Lamezia Terme aveva accolto l'istanza. La Corte d'Appello aveva poi confermato questo capo della decisione. Il ricorso in Cassazione della banca è stato rigettato, confermando la pronuncia d’appello di inefficacia del pagamento.
In diritto, le Sezioni Unite Civili della Cassazione con la sentenza n. 6538 del 18 marzo 2010, hanno risolto un contrasto di giurisprudenza affermando che "in tema di revocatoria fallimentare di atti a titolo gratuito, ai sensi dell'art. 64 legge fall., la valutazione di gratuità od onerosità di un negozio va compiuta con esclusivo riguardo alla causa concreta, costituita dallo scopo pratico del negozio, e cioè dalla sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato; per cui la relativa classificazione non può più fondarsi sulla esistenza o meno di un rapporto sinallagmatico e corrispettivo tra le prestazioni sul piano tipico ed astratto, ma dipende necessariamente dall'apprezzamento dell'interesse sotteso all'intera operazione da parte del solvens, quale emerge dall'entità dell'attribuzione, dalla durata del rapporto, dalla qualità dei soggetti e soprattutto dalla prospettiva di subire un depauperamento collegato o non collegato ad un sia pur indiretto guadagno o ad un risparmio di spesa". Pertanto, nell'ipotesi di estinzione da parte del terzo (in questo caso la società poi fallita) "di un'obbligazione preesistente cui egli sia estraneo, l'atto solutorio può dirsi gratuito, agli effetti dell'art. 64 legge fall., solo quando dall'operazione che esso conclude, sia essa a struttura semplice perché esaurita in un unico atto, sia a struttura complessa in quanto si componga di un collegamento di atti e di negozi, il terzo non ne trae nessun concreto vantaggio patrimoniale ed egli abbia inteso recare un vantaggio al debitore". Mentre, la ragione deve considerarsi "onerosa" tutte le volte che il terzo riceva un vantaggio per questa sua prestazione dal debitore, dal creditore o anche da altri, cosí da recuperare anche indirettamente la prestazione adempiuta ed elidere quel pregiudizio, "cui l'ordinamento pone rimedio con l'inefficacia ex lege".
(Avv. Angelo Remedia)

Il lavoratore precario rimane un disoccupato.

La Cassazione Sezione Quinta Penale con la sentenza n. 48361/2008 si è indirettamente occupata del caso: un lavoratore che aveva partecipato ad un concorso pubblico sottacendo la sua assunzione temporanea come coadiutore sanitario presso la Asl di Taranto era stato condannato - nei due gradi di giudizio precedenti - per il reato di falso ideologico in atto pubblico, per aver indotto in errore i pubblici funzionari, sul suo stato di lavoro.
Tutto è partito dalla denuncia della Asl che aveva chiesto, ed ottenuto, anche il risarcimento dei danni (!)
La Cassazione ha annullato le sentenze di condanna perché "il fatto non sussiste" in quanto "un rapporto di impiego precario e temporaneo non può essere ritenuto sufficiente a fare venire meno il requisito dello stato di disoccupazione". Gli Ermellini hanno infatti osservato che anche qualora il lavoratore "avesse correttamente segnalato la propria condizione di assegnatario in via provvisoria del posto di coadiutore sanitario presso la Asl, ciò non avrebbe comportato la sua cancellazione dall’elenco di disoccupati tenuto dall’ufficio provinciale del lavoro".
In conclusione, la Suprema Corte ha sottolineato la prevalenza dell’interesse del lavoratore alla conservazione dello “status di disoccupato”, pur in presenza di brevi periodi di lavoro, ai fini della conservazione dei benefici che tale stato prevede, in relazione, nel caso esaminato, alla partecipazione a concorsi pubblici. Dunque le finalità del sistema di protezione sociale derivante dalle norme sullo stato di disoccupazione non possono venir meno solo perché sia stata effettuata una qualche esperienza lavorativa le cui caratteristiche fondamentali sono la temporaneità dell’impiego, la sua brevità e
l’incertezza sul futuro. Ed anzi, aggiungerei, la partecipazione al concorso pubblico mira proprio ad ottenere un posto di lavoro che è opposto al perdurare del precariato pertanto questo non può essere ostativo alla libera e legittima ricerca di un proprio stabile lavoro.
(Avv. Angelo Remedia)

Al coniuge separato spetta l'assegno sociale se l’obbligato non paga il mantenimento.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6570 del 18 marzo 2010, ha respinto il ricorso dell'Inps confermando le due decisioni di merito concordanti. Nei fatti, dopo la separazione lui non aveva mai corrisposto alla moglie l'assegno determinato dal giudice. Lei, quindi, aveva fatto domanda per l'assegno sociale. L'Inps l'aveva respinta sostenendo che qualunque altro tipo di reddito è incompatibile con la prestazione previdenziale. Reddito del quale è sufficiente essere titolare seppur non concretamente percepito. La sezione lavoro del Tribunale, cui si è rivolta la donna, ha invece ritenuto sussistente il buon diritto della donna alla prestazione richiesta. La Corte d'Appello di Firenze ha poi confermato la decisione dei primi giudici.
I giudici della Cassazione sezione lavoro hanno sottolineato che avere in teoria diritto al mantenimento, in realtà mai percepito (e con buona probabilità date le condizioni economiche di lui, senza nessuna speranza di riceverlo) non esclude la possibilità di ottenere l'assegno sociale.
"È lo stesso legislatore, che collegando il conguaglio ai redditi effettivamente percepiti attesta che, agli effetti di cui trattasi, non è irrilevante la concreta percezione del reddito. Conseguentemente essendo il conguaglio strettamente connesso, non alla mera titolarità di un reddito, bensì alla sua effettiva percezione, è da ritenere che il reddito incompatibile intanto rileva in quanto sia stato effettivamente acquisito al patrimonio dell'assistito".
Tanto più in questo caso dove la Corte di Firenze ha verificato che "l'assegno di mantenimento - o c.d. di divorzio - non è stato mai corrisposto alla signora per ragioni di accertata incapienza del coniuge divorziato".
Conferma dunque la sentenza di merito che, "dopo aver accertato la mancata percezione di un reddito incompatibile e la infruttuosa concreta attivazione dell'assistito per la riscossione di tale reddito, ha riconosciuto la spettanza del reclamato beneficio [assegno sociale] non considerando rilevante, ai fini di cui trattasi, la mera titolarità di tale reddito incompatibile, ritenendo necessario, ai fini della esclusione del beneficio; anche l'effettiva sua percezione".
Un commento personale: quando potremo vedere un po’ di “ragionevole buonsenso” nella Pubblica Amministrazione? Da quel giorno si eviteranno tante cause…
(Avv. Angelo Remedia)

domenica 7 marzo 2010

Risarcimento dei danni da 'vacanza rovinata', anche per chi trova spiaggia e mare sporchi.

La Suprema Corte ha finalmente fatto un passo avanti nel marasma delle false promesse. Qualora il depliant mostrava spiaggia bianchissima e mare cristallino, il turista non può trovare spiaggia sporca e mare inquinato. Se succede va risarcito. Non solo: spiaggia e mare puliti sono una legittima aspettativa di chi va in vacanza.
I Giudici della Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n.5189/2010 hanno respinto il ricorso di un tour operator che i giudici di appello avevano condannato a risarcire il danno ad una coppia che aveva trascorso una vacanza in Grecia. Nei fatti, la coppia aveva acquistato un pacchetto vacanza in un club di Creta; ed il depliant mostrava una spiaggia bella ed un mare eccellente. Giunti a Creta trovavano invece tutt’altro.
In primo grado il Tribunale respingeva le domande dei turisti sostenendo che la pulizia della spiaggia e la purezza del mare "non dipendevano dalla responsabilità dell'albergo". La Corte d'appello ribaltava la pronuncia condannando il tour operator a risarcire un danno di oltre mille euro per la settimana di vacanza rovinata. Ora anche la Cassazione ha confermato la condanna spiegando che "l'organizzatore o il venditore… di un pacchetto turistico… assumono specifici obblighi soprattutto di tipo qualitativo, riguardo a modalita' di viaggio, sistemazione alberghiera, livello dei servizi che vanno esattamente adempiuti" anche sulla base di quanto viene proposto sui propri "depliant illustrativi".
(Avv. Angelo Remedia)

Tribunale trasforma i Co.Co.Pro. in lavoratori subordinati a tempo indeterminato.

La sentenza è una conferma del principio della prevalenza, in materia lavoristica, delle situazioni di fatto rispetto alla forma delle stesse. Valutato preliminarmente il “progetto” indicato, esso è risultato fortemente generico e dunque inconsistente; di qui la sua inidoneità. Nello specifico poi, il Tribunale ha accertato che ricorrevano anche alcuni requisiti che la giurisprudenza della Suprema Corte indica come caratterizzanti il rapporto di lavoro subordinato, ben distinto da quello autonomo che svolgono i collaboratori co.co.pro.; tra questi: “…: l’osservanza di un orario predeterminato, la continuità della prestazione lavorativa, l’inserimento della prestazione nell’organizzazione aziendale e il coordinamento con l’attività imprenditoriale, l’assenza di rischio per il lavoratore e la forma della retribuzione.” Così il Tribunale di Benevento con la sentenza del 15.12.2009 che ha ordinato la reintegra nel posto di lavoro ed il pagamento delle mensilità arretrate.
(Avv. Angelo Remedia)

Multe. Le percezioni sensoriali dei verbalizzanti, possono essere contestate senza la necessità di presentazione della querela di falso.

Con la sentenza n. 25676 del 4 dicembre 2009, la Seconda Sezione civile della Suprema Corte, ha accolto il ricorso di un automobilista, il quale proponeva opposizione presso il Giudice di Pace di Palermo avverso il verbale della locale Polizia Municipale, con il quale gli era stata applicata una sanzione amministrativa per la violazione degli artt. 41 - 141 e 146 C.d.S.; l’automobilista affernava di non aver commesso l'infrazione, perchè quel giorno e nell'ora indicati nel suddetto verbale egli si trovava in tutt'altro luogo.
La sentenza impugnata, dopo aver premesso che la mancata contestazione immediata della infrazione comportava una diminuzione del valore probatorio, ha rilevato che peraltro l'opposizione proposta dall’automobilista non era basata su una critica ai meccanismi di rilevazione, ma "sull'errore netto dell’agente nella lettura della targa".
Gli Ermellini hanno così deciso: “…….Se invero il C. con l'opposizione proposta aveva contestato un errore di fatto da parte del verbalizzante in ordine al numero di targa dell'auto con la quale era stata commessa l'infrazione, come ritenuto dal Giudice di Pace adito, il riferimento di quest'ultimo all'efficacia probatoria privilegiata del verbale sopra richiamato della Polizia Municipale di Palermo è erroneo, considerato che, secondo l'orientamento consolidato di questa Corte, per contestare le affermazioni contenute in un verbale proveniente da un pubblico ufficiale su circostanze oggetto di percezione sensoriale, come tali suscettibili di errore di fatto, non è necessario proporre querela di falso, ma è sufficiente fornire prove idonee a vincere la veridicità del verbale, secondo l'apprezzamento rimesso al Giudice di merito…..”.
Da ciò si deduce il principio affermato e riconfermato in questa sentenza, ossia per contestare le affermazioni contenute in un verbale proveniente da un pubblico ufficiale su circostanze oggetto di percezione sensoriale, e come tali suscettibili di errore di fatto non è necessario proporre querela di falso, ma è sufficiente fornire prove idonee a vincere la presunzione di veridicità del verbale.
(Dr. Luigi Napolitano)