lunedì 26 aprile 2010

Storica pronuncia della Cassazione in tema di usura bancaria: la cms va inclusa nel calcolo del TEG.

La Corte di Cassazione si pronuncia sulla metodologia del calcolo del TEG. Con la sentenza 12028 del 26.3.2010 ha stabilito che la commissione di massimo scoperta va ricompresa nel calcolo del TEG. Questo testualmente il passo più significativo: “Questo collegio ritiene che il chiaro tenore letterale del comma IV dell’art. 644 c.p. (secondo il quale per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo, e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito) impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito. Tra essi rientra indubbiamente la Commissione di massimo scoperto, trattandosi di un costo indiscutibilmente collegato all’erogazione del credito, giacchè ricorre tutte le volte in cui un cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente, e funge da corrispettivo per l’onere, a cui l’intermediario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente.
Ciò comporta che nella determinazione del tasso effettivo globale praticato da un intermediario finanziario nei confronti del soggetto fruitore del credito deve tenersi conto anche della commissione di massimo scoperto, ove praticata.”
Da tempo ormai, e da più parti, (incluso il sottoscritto) si attendeva un segnale netto della Suprema Corte verso una problematica – l’usura bancaria - che seppur diffusa e riconosciuta, non ha ancora visto condanne definitive.
(Avv. Angelo Remedia)

Il figlio che picchia i genitori per avere i soldi rischia una condanna per estorsione.

A tanto è arrivata la sesta sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza depositata il 19 aprile 2010, n. 14914. Già in secondo grado il figlio violento era stato condannato a 2 anni e a 4 mesi di reclusione, per le continue violenze perpetrate ai danni dei genitori. Questi avevano confermato le violenze subite, mentre il figlio aveva sostenuto la legittimità delle sue pretese, perché, in mancanza di un lavoro e quindi di una fonte di sostentamento, i suoi genitori avrebbero dovuto mantenerlo “per lo stretto legame di parentela” esistente.
La Corte ha stabilito che “pur essendo pacifico il principio che l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, secondo le regole degli artt. 147 e 148 cod. civ., non cessa “ispo facto”, con il raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell’obbligo non dia la prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un’attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia di rifiuto ingiustificato dello stesso (…) va nella specie rilevato come non risulti affatto la prova che le somme, chieste con le modalità violente che risultano accertata, fossero destinate al mantenimento dell’imputato. Ne consegue che, in difetto di tale essenziale connotazione causale dell’agire del ricorrente, si è nella specie verificata l’azione esecutiva e la soggettività del delitto di estorsione e non la minore fattispecie criminosa disciplinata dall’art.39 393 c.p.”.(il quale ultimo disciplina il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone).
(Avv. Angelo Remedia)

Il cane morde? Il padrone paga: per responsabilità oggettiva.

Cattive notizie giungono dalla Suprema Corte per i proprietari di cani. D’ora in poi, a seguito dei principi stabiliti dalla sentenza 9037/2010, il proprietario dell’animale che ha aggredito un terzo non avrà più scuse o giustificazioni: si dovrà risarcire il danno. A nulla varrà aver fatto tutto il possibile perché il danno stesso si verificasse; neanche la prova di aver tenuto l’animale legato con la catena o di aver esposto il cartello “attenti al cane” esimeranno dalla responsabilità. L’unica chance di vedersi esentato da responsabilità sarà quello di provare che il fatto sia dipeso da un evento talmente improvviso da aver superato “ogni possibilità di resistenza o contrasto da parte dell'uomo”. Per gli Ermellini, infatti, “la prova di avere usato la comune diligenza nella custodia dell'animale” non libera il proprietario dalla responsabilità ex art. 2052 c.c.: tale responsabilità, spiega la Corte, “prevista a carico del proprietario o di chi si serve dell'animale per il periodo in cui lo ha in uso, in relazione ai danni cagionati dallo stesso, trova un limite solo nel caso fortuito, ossia nell'intervento di un fattore esterno alla causazione del danno, che presenti i caratteri della imprevedibilità, della inevitabilità e della assoluta eccezionalità”.
(Dr.ssa Annachiara Salvio)

domenica 18 aprile 2010

Contestazione sulla base degli studi di settore? E' essenziale il contraddittorio.

E' proprio l'Agenzia delle Entrate che in una recente circolare indica come essenziale il dialogo con il contribuente e dunque anche il contraddittorio.
Solo con questo, infatti il contribuente può rappresentare la sua reale posizione e dunque spiegare le motivazioni di un eventuale discostamento dal relativo studio di settore. Quest'ultimo, infatti rappresenta delle presunzioni statistiche del Ministero, non certo la prova della concreta attività del contribuente.
Ci sembra che la strada dell'Agenzia vada verso una civiltà giuridica che vede le parti in posizione paritetica e contribuisce dunque alla deflazione dell'eventuale contenzioso tributario, sicchè condividiamo in pieno gli intendimenti mostrati.
(Avv. Angelo Remedia)

Processo civile: basta smemorati o distratti. In sede di interrogatorio fanno ritenere ammessi i fatti.

Cambiando orientamento, la Suprema Corte, con la recente pronuncia n. 7783 del 31.03.2010, ha stabilito che anche le dichiarazioni “evasive e non attendibili” rese in sede di interrogatorio formale nel processo civile sono equiparabili alla “mancata risposta” di cui all’art. 232 c.p.c.
In forza di questa norma il giudice può ritenere come ammessi i fatti indicati nell’interrogatorio formale nei casi in cui la parte non si presenti o rifiuti di rispondere senza giustificato motivo.
Nel caso delle risposte evasive (es. “non ricordo”), sinora non erano equiparate alla completa reticenza sicchè non producevano alcuna ammissione o negazione dei fatti stessi.
Secondo un’interpretazione letterale della norma processuale in esame, i giudici della Cassazione hanno affermato che è lo stesso legislatore, con la testuale formulazione della norma, ad aver inteso equiparare, a fini probatori, sia l’omessa risposta sia i comportamenti comunque reticenti, laddove l’art. 232 c.p.c. statuisce che tutte le ipotesi collegabili all’inciso “se la parte non si presenta o rifiuta di rispondere senza giustificato motivo…” costituiscono i presupposti affinché il giudice possa ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio formale.
Pertanto, le dichiarazioni dal tenore evasivo e non attendibile (ad es. contraddittorie) devono ritenersi senz’altro equiparabili alla mancata risposta, con conseguente applicazione dell’art. 232 c.p.c. e dunque reputare quei fatti come ammessi.
(Avv. Eleonora De Tommaso)

Illegittimo il licenziamento del lavoratore in sciopero, che blocca altri colleghi non scioperanti.

Non è licenziabile il lavoratore scioperante che impedisce ai colleghi non scioperanti di recarsi al lavoro.
Tale è l’orientamento promosso dalla Corte di Cassazione (sentenza n.7518/2010) la quale, pur riconoscendo l’illegittimità di tale comportamento che compromette l'altrui diritto all'espletamento della prestazione lavorativa, ha ritenuto che lo stesso non lede il rapporto fiduciario che lega il lavoratore all'azienda. E’ stato infatti respinto il ricorso di una fabbrica che chiedeva la conferma del licenziamento inflitto ad un dipendente il quale, sostando per due ore davanti all'azienda in una giornata di sciopero, tentava di convincere i colleghi crumiri a non recarsi sul posto di lavoro.
Respingendo il ricorso dell’azienda la Suprema Corte ha sottolineato come, pur ritenendosi il picchettaggio illegittimo poiché lesivo del "diritto della parte datoriale alla prosecuzione dell'attività aziendale" anche in caso di sciopero, la sanzione del licenziamento risulta eccessiva. In particolare il comportamento del dipendente scioperante “non era sfociato in atti di materiale violenza ai danni del compagno di lavoro il quale risultava fosse stato strattonato e fatto arretrare rispetto all'ingresso della fabbrica che aveva gia' varcato, senza che, tuttavia, fosse stato fatto segno di ulteriore violenza fisica".
Per la Cssazione dunque mancherebbe nel caso di specie "la giusta causa di licenziamento".
(Dr.ssa Annachiara Salvio)

lunedì 12 aprile 2010

La statura non può essere un ostacolo nei concorsi pubblici. Tranne per categorie speciali.

Il Tribunale Amministrativo del Veneto ha accolto, con una sentenza dello scorso 2 Aprile 2010, il ricorso di una “vigilessa” esclusa dal Corpo dei Vigili Urbani di Verona “perché troppo bassa”. Nei fatti è alta m. 1,61 contro i m. 1,63 previsti nel bando.
Ora quel bando è risultato illegittimo laddove prevedeva un limite minimo di statura: già una legge del 1986 affermava che “l’altezza delle persone non costituisce motivo alcuno di discriminazione per la partecipazione ai concorsi pubblici indetti dalle pubbliche amministrazioni” tranne che per alcuni casi tassativi ossia: Forze armate, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Corpo forestale, Vigili del fuoco e Ferrovie dello Stato. E qui mancava appunto la Polizia Municipale.
Peraltro in queste “categorie speciali” il limite minimo viene fissato in m.1,61 e dunque più morbido del bando impugnato; osservazione che puntualmente ha specificato anche il Tribunale laddove “la statura minima prescritta dal bando non appare in ogni caso congrua, tenuto conto di quanto stabilito per posizioni professionali sicuramente comparabili”.
Un commento personale, il forte desiderio di lavorare unito all’intraprendenza di tentare un concorso, anche senza requisiti, a volte premia.
(Avv. Angelo Remedia)

Il notaio non riporta il prezzo dell’immobile nell’atto? È sanzionabile.

Il notaio che non indica il prezzo dell'immobile acquistato in un atto di compravendita rischia una sanzione disciplinare. È quanto ha stabilito di recente la terza sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza 5065 del 3.3.2010 confermando la sentenza della Corte d'Appello di Milano alla sospensione di un anno per un notaio che in un atto di compravendita non aveva indicato il prezzo dell'immobile venduto. L'irregolarità, si legge nelle motivazioni della sentenza, sta nel fatto che una simile omissione agevola il compratore nel pagamento delle imposte, stabilendo de facto un comportamento fazioso e non super partes del notaio.
In ogni caso, la sentenza della Suprema Corte precisa che l'atto di compravendita resta valido.
(Avv. Angelo Remedia)

E’ reato minacciare un dipendente di licenziamento per essersi rifiutato di prestare attività lavorativa fuori orario.

In questo senso la quinta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 11891/2010, ha condannato un capo reparto che biasimava un’impiegata per non aver svolto attività lavorativa fuori dal normale orario di servizi. Il capo reparto le avrebbe proferito che “l’avrebbe messa a fare del lavoro molto pesante o con macchinari difficili da utilizzare di modo che sarebbe stata costretta a licenziarsi per non stressarsi” sì da configurare, con la minaccia di licenziamento, un “ingiusto danno”.
La Suprema Corte ha ritenuto che tale comportamento configura i reati di minacce e di violenza privata e per tale motivo, il capo reparto è stato condannato al pagamento di una multa di 51 euro oltre al risarcimento dei danni alla lavoratrice.
(Avv. Angelo Remedia)

martedì 6 aprile 2010

La prescrizione delle cartelle esattoriali: 5 o 10 anni?

La Sezione Tributaria della Cassazione del 23 febbraio 2010 con la sentenza n. 4283 si è pronunciata sulla prescrizione dei tributi successivamente alla notifica della cartella esattoriale.
Ha operato una fondamentale distinzione nei tributi ossia “tributi con prestazione periodica” e quelli per obbligazione tributaria non periodica. Precisa la prima categoria “si riferisce alle obbligazioni periodiche o di durata, caratterizzate dal fatto che la prestazione è suscettibile di adempimento solo con decorso del tempo …di guisa che soltanto con il protrarsi dell’adempimento nel tempo si realizza la causa del rapporto obbligatorio”
Nello specifico la disposizione codicistica prevista dall’art. 2948 c.c., n. 4, (sulla prescrizione quinquennale), trova applicazione nell’ipotesi di prestazioni periodiche in relazione ad una causa debendi continuativa, mentre la medesima norma non trova applicazione nella ipotesi di "debito unico" seppur frazionato.
Orbene per i primi (e tra questi vanno ricompresi a titolo di esempio i tributi per il passo carrabile, per i rifiuti urbani…), il termine di prescrizione è quinquennale.
Per i secondi (e tra questi vanno ricompresi i tributi per IVA, IRPEF, IRAP…), il termine di prescrizione è decennale.
La sentenza è di notevole importanza in quanto fa luce su una materia spesso controversa e la riprova è data dalla stessa nascita del procedimento, nel 2002, quando sia la Commissione Tributaria Provinciale (1° grado) che quella Regionale (2° grado) avevano rigettato detta interpretazione e la correlativa eccezione di prescrizione.

Il figlio adolescente che aggredisce i genitori può essere condannato per maltrattamenti.

Rischia una condanna per maltrattamenti l'adolescente intemperante che aggredisce verbalmente e fisicamente i genitori. Questo anche se il ragazzo è cresciuto in un clima di ostilità familiare o abbia una giovanissima età.
Lo ha stabilito la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione nella sentenza n. 12798 del 30.03.2010, respingendo il ricorso di un ragazzo accusato di ripetuti maltrattamenti ai danni del padre, della madre, e della sorella.
La difesa del figlio era incentrata sul clima familiare di “notevole conflittualità” esistente all’epoca dei fatti, minimizzando gli episodi ossia riconducendoli in “accesi ed animati litigi” e nel carattere reticente delle deposizioni rese in sede testimoniale dai suoi congiunti.
I giudici sono stati fermi nel respingere tali argomentazioni, attribuendo la reticenza delle vittime al loro comprensibile tentativo di ridimensionare la vicenda, dopo che il giovane aveva lasciato la casa paterna. Quanto invece alla giovanissima età dell’imputato all'epoca dei fatti, la Corte ha affermato che egli, "nonostante la giovane età (che, comunque non era tale da impedirgli di compiere liberamente le sue scelte di vita) era consapevole della sofferenza arrecata ai propri congiunti sia con atti di violenza fisica sia con frequenti aggressioni verbali".
(Avv. Angelo Remedia)