lunedì 24 maggio 2010

Sanzione di 180.000 Euro alla banca per pratica commerciale scorretta se non estingue l’ipoteca alla chiusura del mutuo.

In seguito all’estinzione del contratto di mutuo immobiliare, ai sensi del “decreto Bersani” la banca è obbligata ad inviare al cliente, automaticamente e senza alcuna sua richiesta, la attestazione di avvenuta estinzione del mutuo; nei successivi 30 giorni deve chiedere al conservatore dei registri immobiliari la cancellazione della relativa ipoteca sull’immobile.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, lo scorso 26 Agosto 2009 ha comminato una “super multa” di ben 180.000 Euro ad un Istituto Bancario per la pratica commerciale scorretta dovuta al ritardo nell’estinguere l’ipoteca di garanzia sull’immobile. Il Tar Lazio, con la sent. 12283/2010, cui la Banca aveva fatto ricorso per l’annullamento, ha invece confermato tutte le motivazioni espresse dall’AGCM seppur ha rinviato alla stessa la necessità di un ridimensionamento della multa.
(Avv. Angelo Remedia)

Il datore di lavoro che tollera le assenze, perde il diritto di licenziare il dipendente.

L’imprenditore che tollera le assenze ripetute dei propri dipendenti oltre il periodo di comporto, perde il diritto di recesso.
Lo ha stabilito la Cassazione sez. lavoro con la sentenza 11342 dell’ 11 maggio 2010, respingendo il ricorso presentato da una cooperativa per la dichiarazione di legittimità del licenziamento irrogato ad un dipendente per superamento dei limiti di comporto.
Gli Ermellini, confermando le motivazioni per le quali la Corte di Appello di Messina aveva respinto l’impugnazione della società cooperativa, hanno stabilito che poiché le prolungate assenze erano state tollerate anche oltre la maturazione del comporto, il lavoratore si era potuto convincere dell’irrilevanza delle assenze e dell’acquiescenza della controparte alla prosecuzione del rapporto di lavoro. Per questo la Corte ha formulato ed applicato il seguente principio, “per il licenziamento per superamento del periodo di comporto, opera ugualmente il criterio della tempestività del recesso, sebbene, difettando gli estremi di urgenza che si impongono nell'ipotesi di giusta causa, la valutazione del tempo fra la data di detto superamento e quella del licenziamento - al fine di stabilire se la durata di esso sia tale da risultare incompatibile con la volontà di porre fine al rapporto - vada condotta con criteri di minor rigore che tengano conto delle circostanze significative, così contemperando da un lato l'esigenza del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale e, dall'altro, quella del datore di lavoro al vaglio della gravità di tale comportamento, soprattutto con riferimento alla sua compatibilità con la continuazione del rapporto”.
(Avv. Angelo Remedia)

La “testa di legno”, può essere assolto dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per gli illeciti commessi dall'amministratore effettivo.

Questa la ricostruzione della Cassazione, quinta sezione penale: l’amministratore legale che non corrisponde a quello di fatto, ossia la cosiddetta “testa di legno”, non può essere condannato per bancarotta fraudolenta patrimoniale per il semplice fatto di aver accettato l’incarico. Deve essere provata la sua consapevolezza delle attività illecite compiute dall’altro amministratore, quello di fatto. Al contrario, ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 19049 del 19.05.2010, la testa di legno è sempre responsabile della bancarotta fraudolenta per sottrazione delle scritture contabili.
In particolare il Supremo Collegio ha annullato con rinvio la condanna per bancarotta patrimoniale (confermando invece quella di bancarotta documentale) nei confronti di un amministratore che dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito era soltanto una testa di legno. Ciò perché non era stato provato che l’uomo avesse partecipato o comunque avesse piena contezza delle sottrazioni effettuate dall’amministratore di fatto.
(Avv. Angelo Remedia)

domenica 16 maggio 2010

La fidejussione: nozione, limiti e particolari troppo spesso trascurati.

La fidejussione è la garanzia personale che Tizio offre al creditore Caio per l’assolvimento delle obbligazioni del debitore Mevio.
Talvolta lo facciamo spontaneamente quando ci obblighiamo “con la parola o la stretta di mano” in favore dell’amico o del parente che sta compiendo una operazione la cui entità è modesta e non richiede neppure forme sacramentali.
Nella prassi commerciale e soprattutto quella bancaria, la fidejussione assume invece caratteristiche molto importanti proprio per la rilevanza del credito, attuale o futuro, che essa deve garantire. Il codice civile pone diversi limiti a questa forma di garanzia: anzitutto la manifestazione di volontà non può essere tacita ma deve essere espressa; poi essa copre tanto il debito principale quanto gli accessori e le spese; poi passa a tutelare le posizioni dello stesso fideiussore il quale per esempio può opporre al creditore tutte le eccezioni che può svolgere il debitore, come pure deve essere messo in condizioni di agire - in surroga del creditore - verso il debitore, dopo che ha pagato il debito e così via. Alcune particolarità di questo contratto, però, sono spesso … dimenticate e trascurate. Anzitutto il codice stabilisce la regola principale che se il fideiussore garantisce obbligazioni future, è necessario che fin dal momento della sottoscrizione venga fissato (e non lasciato in bianco) un tetto massimo alla garanzia (di qui la nullità delle fidejussioni cd. “omnibus”); poi all’art.1956 stabilisce che “Il fideiussore per un'obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito.” E qui la casistica è copiosa soprattutto per le fidejussioni prestate a favore di società che continuano ad essere “sovvenzionate” dagli istituti di credito, anche nei momenti immediatamente antecedenti il fallimento della società stessa; la norma successiva invece prevede che: “Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell'obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. Anche qui non sempre la norma viene rispettata: nei mutui, ad esempio, dove i tempi di pagamento delle rate sono molto lunghi (anche semestrali) e la banca, “per politica aziendale” aspetta la morosità di almeno due rate prima di “proporre le sue istanze contro il debitore”.
In ogni caso è fondamentale tener presente un principio: le violazioni vanno rappresentate ritualmente in giudizio e non devono essere dimenticate; al di fuori del giudizio, non mi è ancora capitato che un istituto di credito rinunci alla sua pretesa nei confronti del fideiussore, … spontaneamente!
(Avv. Angelo Remedia)

Giro di vite per il motociclista indisciplinato: se non indossa il casco la multa è valida anche senza la contestazione immediata; ma….

Ancora una deroga al principio della contestazione immediata dell’infrazione al codice della strada: la Corte di Cassazione nella sentenza n.11656/2010, specificando che l'art. 200 del codice della strada "prevede che la violazione sia immediatamente contestata al trasgressore quando possibile", ha sottolineato la validità della multa anche se i vigili non l’hanno contestata nell’immediatezza del fatto. Questo perché secondo quanto specificato dall'art. 384 del d.P.R. n. 495/92, non c'è bisogno di contestazione immediata nei casi di materiale impossibilità ad effettuarla.
Nella fattispecie esaminata dalla Corte i vigili non avevano fermato il motociclista perché in quel momento erano impegnati in un'altra contestazione.
Una nota personale: il principio e la deroga sono condivisibili ma gli agenti accertatori hanno l’obbligo di indicare i motivi della impossibilità alla contestazione nel verbale stesso, senza clausole seriali o di stile.
(Avv. Angelo Remedia)

domenica 9 maggio 2010

Stare in famiglia? meglio il carcere. Ma chi evade dagli arresti domiciliari per fuggire dalla famiglia, non commette reato!

Nocera. Un uomo esasperato dai rapporti con la propria famiglia, ha deciso di "evadere" dai domiciliari per farsi riportare in cella e scontare la reclusione in carcere.
Ma la Suprema Corte, ha fatto il resto! La sesta sezione penale con la sentenza n. 16673/2010 ha stabilito che in una simile situazione non sussistono i presupposti del reato di evasione e spiega che chi si trova agli arresti domiciliari ed "esce dal luogo degli arresti, intenzionalmente, alla presenza dei Carabinieri, al fine di porre consapevolmente in essere una trasgressione idonea a ricondurlo in carcere, data l’impossibile convivenza con i familiari, non commette il reato di evasione". Difetta in un caso del genere il dolo tipico del reato previsto e punito dall'articolo 385 del codice penale. La fattispecie del dolo, spiega la Corte, "consiste nella consapevolezza e volontà di usufruire di una libertà di movimento vietata dal precetto penale". Durante il processo l'imputato ha dichiarato di non essersi sottratto ai controllo della Polizia giudiziaria, che era presente all'atto della "evasione". Egli ha semplicemente realizzato una condizione fattuale nei termini che gli erano stati indicati come idonei a determinarne il rientro in carcere.
(Avv. Angelo Remedia)

La banca non è responsabile per aver pagato assegni falsi se la difformità delle sottoscrizioni non è evidente “a vista”.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 8127 del 02 aprile 2010, ha ribadito il principio, affermato più volte dalla stessa Corte, che la diligenza richiesta alla banca trattaria nel valutare la firma di traenza prima di inviare un assegno in stanza di compensazione è quella media e non impone l’utilizzo di particolari sistemi di analisi e o di strumentazioni per l’accertamento della genuinità del titolo di credito.
Il fatto risale al luglio del 1997 e questo ne giustifica anche la portata. La società ricorrente scoprì il furto di ben 84 assegni bancari il 18 luglio 1997 e lo denunciò ai Carabinieri il successivo 21 mentre alla banca lo comunicò il 23. Purtroppo tra il 7 e l’11 luglio, tre assegni furono incassati per aprire nuovi conti correnti, con delle firme che la ricorrente assumeva essere false.
Cosicchè la ricorrente, con la propria impugnativa lamentava il mancato utilizzo da parte della banca, di supporti elettronici, nel caso di specie la cd. scansione, per accertare se vi fosse stata o meno una falsificazione delle firme di traenza apposte su assegni rubati e negoziati e per questo l’istituto di credito aveva omesso quella diligenza di cui all’ art. 1176 secondo comma cod. civ., che invece avrebbe permesso di rilevare la falsificazione ed escluso l’addebito .
La Suprema Corte ha invece sottolineato che la banca trattaria, nel confrontare la corrispondenza delle firme di traenza con quelle depositate dal correntista, deve utilizzare la diligenza media, pertanto la violazione dell’obbligo di diligenza può rilevarsi quando la difformità risulti “ictu oculi”, senza che sia necessario l’utilizzo di particolari strumenti attrezzature meccaniche o chimiche, idonee a rilevare la falsificazione o la loro alterazione, né sarebbe possibile richiedere ai dipendenti della banca una particolare competenza grafologica.
Una nota personale: da tempo ormai il pagamento degli assegni avviene per via elettronica se l’importo facciale non supera i 3.000,00 Euro ossia con la modalità elettronica della cd. check truncation (la compensazione ed il pagamento avviene la stessa notte per via telematica); per somme superiori c’è ancora la stanza di compensazione “materiale”. E’ evidente che nel primo caso, che ricomprendono la stragrande maggioranza delle transazioni con assegni, il controllo umano non c’è affatto, se non per casi appositamente “segnalati”.
Sulla pronuncia arrivata "solo 13 anni dopo" ... è in linea con la media dei processi italiani che vanno in Cassazione.
(Avv. Angelo Remedia)

No alla decurtazione dei punti della patente per guida con il telefono senza auricolare, se la contestazione dell’infrazione non è immediata.

Anche la Consulta aveva espresso il medesimo principio di diritto. Oggi è la Cassazione che nella sentenza n. 10636 del 29 aprile 2010, ha ribadito che “detta contestazione era illegittima in un caso in cui, essendo stata omessa la contestazione immediata dell’infrazione, non era stato identificato il conducente del veicolo”. Nei fatti il giudice di pace di Roma, respingeva l’opposizione proposta da un automobilista contro il prefetto di Roma, per l’annullamento della ordinanza ingiunzione, a seguito di un ricorso per annullamento della multa per aver usato, un telefono cellulare non dotato di auricolare, mentre era alla guida. L’automobilista aveva così proposto ricorso per cassazione della sentenza. Gli Ermellini, dopo aver citato nella motivazione anche una sentenza della Consulta sul tema (sent. 24 gennaio 2005 n. 27), hanno accolto il ricorso dell’automobilista, decidendo nel merito e annullando il verbale di contestazione impugnato.
(Avv. Angelo Remedia)

lunedì 3 maggio 2010

Cassazione: assegno di mantenimento e casa familiare possono essere interdipendenti.

Proprio così. La Corte di Cassazione ha stabilito che se il figlio si allontana dalla casa coniugale, il coniuge perde l'assegnazione del diritto di abitazione esclusivo della casa ma ha diritto ad un aumento dell'assegno di mantenimento.
Questo perché il presupposto imprescindibile per l'assegnazione della casa coniugale "al coniuge non titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale, è costituito dalla presenza di figli minori ancora economicamente non autosufficienti".
Nel caso specifico, però, il provvedimento di assegnazione della casa era stato espressamente preso anche a titolo di integrazione delle disposizioni di carattere economico sicchè, "il venir meno del presupposto" della presenza dei figli, da un lato non preclude la modifica del provvedimento e cioè la revoca dell'assegnazione della casa familiare, ma dall’altro rende legittima la rideterminazione dell'assegno divorzile.
Nella parte motiva della sentenza la Corte spiega che la variazione dei provvedimenti presi all’atto del divorzio (o della separazione) costituisce "un principio generale che trascende la specifica previsione [...] normativa e deve ritenersi consentita pertanto anche in tema di assegnazione della casa coniugale, la cui eclusione peraltro sarebbe priva di alcuna valida giustificazione giuridica qualora vengano meno le ragioni che l'hanno determinata”.
(Avv. Angelo Remedia)

Notifica effettuata direttamente dall’Avvocato: si perfeziona al momento della spedizione dell’atto.

La sentenza n. 2055 emessa il 13.04.2010 dal Consiglio di Stato interviene a comporre l’acceso dibattito nato in materia di notifiche di atti giudiziari effettuate direttamente dagli Avvocati a mezzo del servizio postale ex art. 3, L. 21/01/1994, n. 53.
Il Consiglio ha infatti ritenuto che anche in tali circostanze la notificazione “si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all'ufficiale giudiziario”, ovvero con la consegna all’ufficio postale per la effettiva spedizione mediante lettera raccomandata a/r. Questo, con salvezza di possibili decadenze rispetto ai termini di legge. La notificazione si può dunque ritenere perfezionata alla data della spedizione (ovvero con quella della consegna all’ufficio), e non più a quella dell’effettiva ricezione dell’atto da parte del destinatario.
Così è stato deciso in merito all’appello promosso avverso la sentenza resa dal TAR Piemonte, Torino, Sez. I, n. 1018/2009, con cui era stato ritenuto tardivo, per consunzione del termine di legge, il ricorso giurisdizionale promosso avverso un provvedimento amministrativo di diniego in materia edilizia; in tale circostanza il Tribunale (come spesso accaduto già in altre sentenze) aveva preso a riferimento non la data di spedizione postale, ma quella di effettiva ricezione del plico da parte dell’Amministrazione destinataria, ritenendo che “è solo relativamente alle notifiche effettuate dal primo [ufficiale giudiziario], in quanto pubblico ufficiale deputato specificamente ed istituzionalmente ad effettuare notifiche di atti giudiziari, che è intervenuta la Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 477/2002, e che pertanto non può applicarsi alle notifiche effettuate in proprio dall’avvocato ex art. 3, l. n. 53/1994, il meccanismo anticipatorio del momento perfezionativo della notifica alla consegna del plico all’Ufficiale notificante”.
I Giudici di appello, tenuto conto anche dell’intervenuta riforma dell’art. 149 c.p.c., hanno invece proposto una lettura diversa della normativa in materia, superando l’aspetto meramente formale e testuale per cui detta norma si riferisca esclusivamente alle notifiche effettuate a mezzo Ufficiale Giudiziario, senza considerare la pari attività compiuta direttamente dagli Avvocati; per questo ha determinato il principio del perfezionamento della notifica sin dalla spedizione del plico.
(Dr.ssa Annachiara Salvio)