La Corte di Cassazione con la sentenza n. 22692/2011 ha seguito un ragionamento logico distante dalla difesa del lavoratore, che si focalizzava sulla proporzionalità dell’offesa economica di minima entità con la sanzione massima del licenziamento. Questo il principio di diritto ricavato: "Nel caso di licenziamento per giusta causa in conseguenza dell'abusivo impossessamento di beni aziendali da parte del dipendente, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso viene in considerazione non l'assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale ma la ripercussione sul rapporto di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti".
La Suprema Corte, ha dunque sottolineato che la proporzionalità deve essere valutata non solo sulle conseguenze economiche del fatto, ma su una serie di elementi che vanno dal grado di responsabilità collegato alle mansioni del lavoratore, alle modalità della condotta, specie se queste possono far trasparire una particolare propensione alla trasgressione ed infine alla rilevanza dei fatti sulla permanenza del vincolo fiduciario che caratterizza lo specifico rapporto di lavoro. Con questo confermando la correttezza dell’iter giuridico ricostruito dalla sentenza impugnata laddove "è legittimo attendersi che la società non possa più fare affidamento su un dipendente che ha trafugato beni aziendali per esigenze personali, attuando un comportamento doloso ed in concorso con un collega, col ragionevole timore del reiterarsi di una tale condotta".
(Avv. Angelo Remedia)
La Suprema Corte, ha dunque sottolineato che la proporzionalità deve essere valutata non solo sulle conseguenze economiche del fatto, ma su una serie di elementi che vanno dal grado di responsabilità collegato alle mansioni del lavoratore, alle modalità della condotta, specie se queste possono far trasparire una particolare propensione alla trasgressione ed infine alla rilevanza dei fatti sulla permanenza del vincolo fiduciario che caratterizza lo specifico rapporto di lavoro. Con questo confermando la correttezza dell’iter giuridico ricostruito dalla sentenza impugnata laddove "è legittimo attendersi che la società non possa più fare affidamento su un dipendente che ha trafugato beni aziendali per esigenze personali, attuando un comportamento doloso ed in concorso con un collega, col ragionevole timore del reiterarsi di una tale condotta".
(Avv. Angelo Remedia)
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