domenica 14 novembre 2010

Un registro per opporsi alle fastidiose chiamate pubblicitarie.

Ebbene si, se avete ricevuto una di queste chiamate e avete maledetto l’operatore che ha fatto il vostro numero allora per voi c’è una buona notizia. Il DPR del 7 settembre 2010 n. 178, (pubblicato nella G.U del 2 novembre 2010 ed in vigore dal successivo 17), ha dato attuazione all’art. 20-bis del Decreto n. 135/2009 per la istituzione del Registro pubblico delle opposizioni. Questo accoglierà i nominativi degli abbonati telefonici che non desiderano essere contattati telefonicamente a fini commerciali o promozionali. L’iscrizione del proprio numero non avrà costi e questo impedirà gli operatori commerciali dal chiamarvi. Coloro che non si iscrivono, prestano tacitamente consenso ad essere contattati, salvo gli utenti che non compaiono in elenco cartaceo.
Attenzione, il regolamento prevede che entro 90 giorni dal 2 novembre 2010, data di pubblicazione in Gazzetta del D.P.R., il Ministero dello Sviluppo Economico o il soggetto terzo al quale eventualmente sarà affidato il contratto di gestione del Registro, dovranno provvedere alla predisposizione delle modalità tecniche ed operative di iscrizione al registro da parte degli abbonati. Per questo al momento c’è da attendere.
Queste però sono le istruzioni per fare le comunicazioni di iscrizione al registro:

  1. mediante compilazione di apposito modulo elettronico sul sito web del gestore del registro pubblico; in tale caso, l’abbonato e tenuto a fornire i propri dati anagrafici, comprensivi di codice fiscale, indirizzo di posta elettronica, e comunicare la numerazione da iscrivere al registro;
  2. mediante chiamata, comunicando gli stessi dati, effettuata dalla linea telefonica con numerazione corrispondente a quella per la quale si chiede l’iscrizione nel registro, al numero telefonico gratuito appositamente predisposto dal gestore del registro. Il sistema deve funzionare mediante risponditore automatico, con possibilità per l’abbonato di ottenere comunque un’assistenza telefonica non automatizzata in caso di difficoltà o problemi di iscrizione o modifica o cancellazione dei dati;
  3. mediante invio di lettera raccomandata o fax al recapito del gestore, con allegata copia di un documento di riconoscimento;
  4. mediante posta elettronica.

qui il seguito
(Avv. Angelo Remedia)

Il rapporto di lavoro part-time può trasformarsi in full-time.

La Corte di Cassazione, nel campo del diritto del lavoro, con la sentenza del 13.10.2010 n. 21160, ha ribadito un principio da tempo affermato: in relazione ai diritti spettanti al lavoratore per la sua attività lavorativa, non è decisivo il negozio costitutivo del rapporto, ma il rapporto nella sua concreta attuazione; cioè non è importante la qualificazione giuridica del rapporto (o se vogliamo, come è intitolato il contratto di lavoro) quanto la concretezza delle mansioni svolte, la loro tipologia e la loro durata. E’ stato così che un rapporto di lavoro nato in forma di tempo parziale è stato trasformato in un rapporto di lavoro a tempo pieno, nonostante il contratto sottoscritto fosse solo part-time, sulla base dell’orario di lavoro di fatto svolto dal lavoratore, prossimo a quello stabilito per il lavoro a tempo pieno e talvolta addirittura superiore.
(Avv. Angelo Remedia)

martedì 20 luglio 2010

Nel processo civile l'avvocato può essere testimone.

E' ancora vigente il divieto per l'avvocato di assumere anche la veste di testimone nello stesso processo, ma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16151 del 8 luglio 2010, nel decidere un caso di un avvocato umbro, ha stabilito che nei casi in cui manca la "contestualità" delle due figure, l'avvocato può anche essere testimone.
Nel caso specifico il professionista, prima di assumere la difesa del cliente, aveva reso la testimonianza e poi aveva ricevuto e confermato l'incarico di difensore.
La terza sezione civile ha motivato sostenendo che la posizione del legale non può essere equiparata a quella dei magistrati sulle incompatibilità processuali. Qui si tratta prevalentemente di un problema di "deontologia professionale" o comunque di una questione da risolvere con una legge. In sentenza si legge infatti che "dipende dalle regole deontologiche se dovrà essere data la prevalenza all'ufficio di testimone o al ruolo di difensore, ovvero se la scelta dovrà essere lasciata al difensore". Specificatamente, "la Corte costituzionale ha ripetutamente avuto modo di rilevare che tale compatibilità di funzioni trova un idoneo correttivo nel principio del libero convincimento del giudice e nel suo dovere di valutare "con pruderete apprezzamento e spirito critico" la deposizione di ogni testimone che non sia "immune dal sospetto di interesse all'esito della causa".
In conclusione, "non sussiste un'incompatibilità tra l'esercizio delle funzioni di difensore e quelle di teste nell'ambito del medesimo giudizio, se non nei termini della contestualità, per cui contemporaneamente il difensore non può anche essere testimone".
(Avv. Angelo Remedia)

Nulla la decurtazione dei punti della patente del proprietario che non comunica il nome del conducente.

Nulla la decurtazione dei punti della patente del proprietario che non comunica il nome del conducente. Questa è la decisione della Cassazione a Sezioni Unite (alla quale i giudici italiani dovranno uniformarsi) n. 16276 del 12 luglio 2010. Resta ferma, però, la sanzione pecuniaria per mancata comunicazione delle generalità del "conducente trasgressore".
Gli Ermellini, in sostanza, hanno dato piena applicazione a una decisione della Corte Costituzionale del 2005, con la quale si affermava che è illegittima, per contrarietà al principio della ragionevolezza, "l'applicazione dell'articolo 126 bis co. 2 Dlgs. 285/92, nella parte in cui dispone che in caso di mancata identificazione del conducente autore della trasgressione e di mancata successiva comunicazione dei relativi dati personali e di abilitazione guida, entro il termine di 30 giorni dalla notifica,da parte del proprietario del veicolo, cui il verbale di accertamento della violazione fosse stato notificato, quest'ultimo avrebbe subito la sanzione della decurtazione del punteggio della patente, dovendo invece trovare applicazione in siffatti casi soltanto l'ulteriore sanzione pecuniaria".
(Avv. Angelo Remedia)

L’assegno in bianco del prenditore (beneficiario) è valido.

La recente sentenza della Corte di Cassazione del 14 luglio 2010 n. 16556, ribadendo il precedente orientamento espresso nella sent. 18528/2007, ha stabilito che Anche senza il nome del prenditore l’assegno bancario è valido anzi è equiparabile all’assegno bancario al portatore o può essere girato a un terzo.
Questo infatti il principio enunciato: “Il possessore di un assegno bancario in cui non figuri l’indicazione del prenditore oppure che sia stato girato dal primo prenditore o da ulteriori giratari sia con girata piena che con girata in bianco ha il diritto al pagamento dello stesso in base alla sola presentazione del titolo, senza che, se presentato per il pagamento direttamente all’emittente, questa possa pretendere che il titolo contenga anche la firma di girata di colui che ne richiede il pagamento”.
Di qui il principio per il quale l’assegno bancario che viene rilasciato senza l’indicazione del nome del prenditore vale come assegno bancario al portatore e può essere convertito in titolo all’ordine oppure riempito con il proprio nome e trasferito a un terzo.
(Avv. Angelo Remedia)

domenica 11 luglio 2010

Il mantenimento va ridotto se il coniuge obbligato paga da solo la rata di mutuo.

È legittima la decurtazione dell'assegno di mantenimento se il coniuge cui spetta l'obbligo dell'assegno paga per intero la rata del mutuo della casa coniugale, acquistata in regime di comunione dei beni, in cui vive esclusivamente la moglie assegnataria.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 15333 del 25 Giugno 2010, ha respinto il ricorso di una moglie che si era vista ridurre dai giudici d’appello il mantenimento perché l’ex pagava da solo la rata del muto della casa coniugale a lei assegnata. I due si erano lasciati per incompatibilità caratteriale. In particolare l’uomo aveva iniziato a distaccarsi fino a lasciare la moglie sola, anche di notte. Per questo il Tribunale gli aveva addebitato la separazione, ponendo a suo carico un assegno di 400 euro al mese. In appello il mantenimento era stato ridotto a 200 dato che, aveva motivato la Corte territoriale, l’uomo pagava da solo la rata del mutuo. Contro questa decisione l’ex ha fatto ricorso in Cassazione ma senza successo.
“La decurtazione dell’assegno di mantenimento – si legge in sentenza – dovuto dal marito separato alla ricorrente dell’importo di 200 euro mensili è stato giustificato dalla circostanza del pagamento da parte del predetto dell’intera rata di mutuo gravante sulla casa coniugale, acquistata in comunione e adibita ad abitazione della moglie”.
(Avv. Angelo Remedia)

Comodato senza termine. In caso di separazione la casa va restituita ai suoceri che l’avevano prestata al figlio.

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 15986 del 7 luglio 2010, cambiando rotta rispetto a una giurisprudenza che sembrava ormai consolidata ha sancito la possibilità per i genitori di vedersi restituire la casa dove, dopo la separazione, vivono la ex nuora e i nipoti.
I fatti sono accaduti a Lecce dove una coppia aveva dato in comodato una casa di proprietà al figlio sposato. Nel frattempo erano nati dei nipoti ma poi i due si erano separati. In un primo momento il Tribunale pugliese aveva dato loro ragione, ordinando alla donna la restituzione dell'immobile. Poi la Corte d'Appello aveva cambiato le carte in tavola assegnando l'immobile alla nuora affidataria dei bambini. Contro questa decisione la coppia di anziani ha fatto ricorso in Cassazione che ha dato loro ragione.
Il punto di forza per la terza sezione civile è stata la nozione di "comodato precario" ed ha sancito che qualora un immobile sia stato dato in comodato privo di termine, "la fattispecie integra il comodato precario, caratterizzato dalla circostanza che la determinazione del termine di efficacia del vinculum iuris costituito tra le parti è rimesso in via potestativa alla sola volontà del comodante, che ha facoltà di manifestarla ad nutum con la semplice richiesta di restituzione del bene, senza che assuma rilievo la circostanza che l'immobile sia stato adibito ad uso familiare e sia stato assegnato, in sede di separazione tra coniugi, all'affidatario dei figli".
(Avv. Angelo Remedia)

Per il fisco i criteri presuntivi prevalgono su quelli di cassa. (!)

La Cassazione ci sbalordisce ancora: con la sentenza n. 16235 del 9 luglio 2010 la Corte interviene sui redditi dei professionisti. Gli studi di settore e i coefficienti presuntivi prevalgono sui criteri di cassa. Il professionista, infatti, non può provare il suo reddito, a dispetto dell’accertamento presuntivo notificato dal fisco, sulla base di quanto ha effettivamente incassato nell’anno di imposta contestato. Insomma il fatto che il compenso possa essere pagato nell’anno successivo non è rilevante ai fini fiscali.
Mah.
(Avv. Angelo Remedia)

lunedì 14 giugno 2010

Altra fonte di reddito (non tassata) per i sindacati: la costituzione di parte civile anche per un lavoratore non iscritto.

La Corte di Cassazione con la sentenza 22558/2010 ha affermato che le associazioni a difesa dei lavoratori possono costituirsi parte civile contro le aziende per gli infortuni sul lavoro, e questo anche se la vittima non era iscritta al proprio sindacato.
Nel caso specifico il capocantiere ed il responsabile della sicurezza di una ditta di costruzioni, furono riconosciuti colpevoli di omicidio colposo per la morte sul lavoro di un operaio edile, deceduto dopo un brutto incidente mentre conduceva una gru. Oltre ai 10 mesi di carcere, ed il risarcimento alla vedova, la Corte ha confermato sia la legittimità della costituzione in giudizio dei tre maggiori sindacati, sia il risarcimento di 15.000 euro ciascuno.
La sentenza recita:"Il mutato quadro di riferimento porta a ritenere ammissibile, senza il predetto limite della iscrizione, la costituzione di parte civile dei sindacati nei procedimenti per reati di omicidio o lesioni colpose commesse con violazione della normativa antinfortunistica, dovendosi ritenere che l'inosservanza di tale normativa nell'ambito dell'ambiente di lavoro possa cagionare un autonomo e diretto danno, patrimoniale (ove ne ricorrano gli estremi) o non patrimoniale, ai sindacati per la perdita di credibilità all'azione dagli stessi svolta".
Una nota personale. Basta disuguaglianze: la certezza del diritto è qualcosa che va recuperata, non minata, di questo credibilità ne possono aver sofferto in astratto qualunque associazione si occupi di lavoratori… e poi si prenda posizione sui redditi tuttora non tassati dei sindacati.
(Avv. Angelo Remedia)

Lo Stato non riconosce l’attività di prostituzione, ma il fisco vuole le tasse!

L'attività di prostituzione non viene riconosciuta dallo Stato come attività lecita e produttiva di redditi leciti e dunque tassabili, ma lo stesso tramite l'Agenzia delle Entrate impone che i proventi siano assoggettati al fisco tra i “redditi diversi”. Questo è quanto risultato dalla sentenza 109/10/10 della Commissione tributaria regionale del Lazio depositata lo scorso 3 maggio: dove la prova della attività illecita è stata riconosciuta in capo alla “contribuente” e, siccome non è riuscita a dimostrarlo sono assoggettati alla imposizione fiscale.
Nei fatti la ricorrente subì un accertamento fiscale ancorato agli incrementi patrimoniali che la donna aveva ascritto all'attività più antica del mondo. Già la Commissione provinciale di Viterbo le aveva rigettato l’impugnativa. Ora anche quella Regionale: "la ricorrente ritiene di svolgere l'attività di prostituta ma non fornisce la prova", ancora "la contribuente ha allegato solo due verbali di denuncia resa ai Carabinieri di Lodi, da cui si rileva che l'attività è stata svolta solo in quei due giorni". Orbene siccome la donna non è riuscita a dimostrare la illiceità dei redditi (dichiarati) con i quali aveva formato il suo patrimonio, lo Stato vuole le tasse perché ritiene debbano rientrare nella categoria dei redditi "diversi" (e leciti).
Una nota personale: non sarebbe opportuno che il Parlamento faccia un passo (qualunque) e decida definitivamente qualcosa sul problema della prostituzione?
(Avv. Angelo Remedia)

Multe con autovelox annullabili se lo scontrino è corretto a mano.

Quando lo scontrino dell'autovelox contiene dei dati sbagliati ed anche corretti a mano dall’agente, la multa può essere annullata. Nella sentenza n. 13887/2010 della seconda sezione civile della suprema Corte infatti, si legge che i dati errati costituiscono un chiaro indice di un mal funzionamento del dispositivo. Con detta motivazione, la Cassazione ha accolto il ricorso di un automobilista a cui era stata convalidata dal Giudice di Pace una multa per eccesso di velocità. L'automobilista aveva impugnato la sanzione facendo rilevare che lo scontrino dell'autovelox indicava la data del giorno prima e che per questo il dispositivo risultava inaffidabile e non controllato. Secondo la Corte, il fatto che la data fosse sbagliata può "fondatamente" fare ritenere che ci siano "elementi di dubbio sul funzionamento dell'apparecchio" che potrebbe avere sbagliato anche sul rilevamento della velocità.
Nel caso specifico gli agenti avevano notato l'anomalia ed avevano corretto a mano la data e questo era bastato per il Giudice di Pace a considerare valida la sanzione irrogata; la Cassazione si è invece pronunciata al contrario.
(Avv. Angelo Remedia)

venerdì 4 giugno 2010

Il commercialista risponde del reato di bancarotta se ha suggerito e guidato attività fraudolente alla società.

Il 24 maggio 2010 con la sentenza n.19545, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione, ha sanzionato un commercialista per una attività illecita, tipica dell’imprenditore.
Nella sentenza -la Corte ha stabilito che anche il commercialista, risponde di bancarotta fraudolenta se assume la “guida tecnica” delle operazioni illecite.
La Corte ha infatti precisato che il commercialista, peraltro appartenente al Collegio dei Sindaci, “ha ammesso il suo ruolo di guida tecnica in tutte le attività di trasferimenti spoliativi dei beni della società”. In più “i giudici di merito hanno anche messo in risalto che egli indirettamente partecipò alla distrazione degli strumenti di ufficio, acquistandoli attraverso la società: si tratta di un episodio di modesto rilievo contabile, ma di altissimo rilievo dimostrativo, ai fini del convincimento della totale abnegazione del ricorrente nella costruzione e nello sviluppo del piano finalizzato alla scomparsa giuridica dei beni di massimo valore, tanto da spingersi, dal ruolo di regia e di comando nella tecnica fraudolente, a quello di diretto occultatore di beni residui”.
Sulla difesa del professionista ha precisato la Corte che “l’ipotesi che queste condotte rivestano esclusivamente un carattere di illiceità deontologica, sanzionabile all’interno della disciplina della categoria professionale di appartenenza, in quanto contrastante con un elementare visione del vigente ordinamento giuridico, ugualmente è al di fuori delle argomentazioni meritevoli di esame”.
(Avv. Angelo Remedia)

La decurtazione dei punti della patente va comunicata tempestivamente. Altrimenti è illegittima la revisione della patente.

Sul ricorso di un automobilista contro la revisione della patente disposta dalla motorizzazione, il Tribunale Amministrativo della Lombardia, con la sentenza n. 1670 del 26 maggio 2010, ha stabilito che la revisione della patente è illegittima se l’azzeramento dei punti sulla patente viene comunicato con ritardo.
I giudici amministrativi hanno ritenuto infatti il provvedimento illegittimo in quanto “l’avere l’amministrazione resistente omesso di effettuare le prescritte comunicazioni, tempestivamente e per ciascuna singola variazione di punteggio, concreta il vizio di violazione di legge dedotto dal ricorrente il quale, in conseguenza, non è stato posto in condizioni di apprestare i rimedi previsti per il recupero dei punti sottratti”. Il Tar ha poi specificato che “l’istituto introdotto dal legislatore importa che ciascuna variazione di punteggio sia comunicata agli interessati dall’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida (art. 126 bis cit. ), onde consentire al conducente la frequenza degli appositi corsi di aggiornamento (organizzati dalle autoscuole ovvero da soggetti pubblici o privati a ciò autorizzati dal Dipartimento per i trasporti terrestri) che consentono di riacquistare una parte dei punti persi.” Inoltre, “l’atto con cui si dispone la revisione di una patente di guida, […] non presenta caratteristiche di urgenza, tali da escludere l’obbligo della previa comunicazione ai sensi dell’art. 7 l. n. 241 del 1990”.
(Avv. Angelo Remedia)

Riprese audiovisive all’esterno: non sempre sono lecite.

I principi guida sono: il rispetto della privacy, l’esigenza di riservatezza, la concreta situazione di fatto e la in equivoca rinuncia anche tacita a tale diritto.
Nella sentenza n. 47165/2010 la Corte di Cassazione ha esaminato il caso il caso di una coppia condannata dai giudici di primo grado che di appello. per interferenze illecite nella vita privata (art. 615 bis c.p.), perchè avevano effettuato riprese con una telecamera alle figlie dei vicini di casa mentre giocavano nel giardino confinante. Ha cassato la sentenza e rinviato il giudizio al giudice di secondo grado per una revisione del processo seguendo questi principi. Rilevato che "le scene captate erano agevolmente percepibili ad occhio nudo, non esistendo ostacoli fisici alla visione del giardino confinante da parte dell'abitazione degli stessi", può escludersi l'integrazione del reato punito dall'art. 615 bis c.p.
In altre parole il Collegio spiega che una normale ripresa in un ambiente esterno può diventare illecita quando si adottano sistemi per superare quei normali ostacoli che impediscono di intromettersi nella vita privata altrui.
Per questo, la Corte aggiunge "è necessario bilanciare l'esigenza di riservatezza (che trova presidio nella normativa costituzionale quale espressione della personalità dell'individuo nonchè la protezione del domicilio, pur esso assistito da tutela di rango costituzionale, che dispiega severa protezione dell'immagine), e la naturale compressione del diritto imposta dalla concreta situazione di fatto o, ancora, la tacita, ma inequivoca rinuncia al diritto stesso, come accade nel caso di persona che, pur fruendo di un sito privato, si esponga in posizione visibile da una pluralità indeterminata di soggetti".
(Avv. Angelo Remedia)

lunedì 24 maggio 2010

Sanzione di 180.000 Euro alla banca per pratica commerciale scorretta se non estingue l’ipoteca alla chiusura del mutuo.

In seguito all’estinzione del contratto di mutuo immobiliare, ai sensi del “decreto Bersani” la banca è obbligata ad inviare al cliente, automaticamente e senza alcuna sua richiesta, la attestazione di avvenuta estinzione del mutuo; nei successivi 30 giorni deve chiedere al conservatore dei registri immobiliari la cancellazione della relativa ipoteca sull’immobile.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, lo scorso 26 Agosto 2009 ha comminato una “super multa” di ben 180.000 Euro ad un Istituto Bancario per la pratica commerciale scorretta dovuta al ritardo nell’estinguere l’ipoteca di garanzia sull’immobile. Il Tar Lazio, con la sent. 12283/2010, cui la Banca aveva fatto ricorso per l’annullamento, ha invece confermato tutte le motivazioni espresse dall’AGCM seppur ha rinviato alla stessa la necessità di un ridimensionamento della multa.
(Avv. Angelo Remedia)

Il datore di lavoro che tollera le assenze, perde il diritto di licenziare il dipendente.

L’imprenditore che tollera le assenze ripetute dei propri dipendenti oltre il periodo di comporto, perde il diritto di recesso.
Lo ha stabilito la Cassazione sez. lavoro con la sentenza 11342 dell’ 11 maggio 2010, respingendo il ricorso presentato da una cooperativa per la dichiarazione di legittimità del licenziamento irrogato ad un dipendente per superamento dei limiti di comporto.
Gli Ermellini, confermando le motivazioni per le quali la Corte di Appello di Messina aveva respinto l’impugnazione della società cooperativa, hanno stabilito che poiché le prolungate assenze erano state tollerate anche oltre la maturazione del comporto, il lavoratore si era potuto convincere dell’irrilevanza delle assenze e dell’acquiescenza della controparte alla prosecuzione del rapporto di lavoro. Per questo la Corte ha formulato ed applicato il seguente principio, “per il licenziamento per superamento del periodo di comporto, opera ugualmente il criterio della tempestività del recesso, sebbene, difettando gli estremi di urgenza che si impongono nell'ipotesi di giusta causa, la valutazione del tempo fra la data di detto superamento e quella del licenziamento - al fine di stabilire se la durata di esso sia tale da risultare incompatibile con la volontà di porre fine al rapporto - vada condotta con criteri di minor rigore che tengano conto delle circostanze significative, così contemperando da un lato l'esigenza del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale e, dall'altro, quella del datore di lavoro al vaglio della gravità di tale comportamento, soprattutto con riferimento alla sua compatibilità con la continuazione del rapporto”.
(Avv. Angelo Remedia)

La “testa di legno”, può essere assolto dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per gli illeciti commessi dall'amministratore effettivo.

Questa la ricostruzione della Cassazione, quinta sezione penale: l’amministratore legale che non corrisponde a quello di fatto, ossia la cosiddetta “testa di legno”, non può essere condannato per bancarotta fraudolenta patrimoniale per il semplice fatto di aver accettato l’incarico. Deve essere provata la sua consapevolezza delle attività illecite compiute dall’altro amministratore, quello di fatto. Al contrario, ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 19049 del 19.05.2010, la testa di legno è sempre responsabile della bancarotta fraudolenta per sottrazione delle scritture contabili.
In particolare il Supremo Collegio ha annullato con rinvio la condanna per bancarotta patrimoniale (confermando invece quella di bancarotta documentale) nei confronti di un amministratore che dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito era soltanto una testa di legno. Ciò perché non era stato provato che l’uomo avesse partecipato o comunque avesse piena contezza delle sottrazioni effettuate dall’amministratore di fatto.
(Avv. Angelo Remedia)

domenica 16 maggio 2010

La fidejussione: nozione, limiti e particolari troppo spesso trascurati.

La fidejussione è la garanzia personale che Tizio offre al creditore Caio per l’assolvimento delle obbligazioni del debitore Mevio.
Talvolta lo facciamo spontaneamente quando ci obblighiamo “con la parola o la stretta di mano” in favore dell’amico o del parente che sta compiendo una operazione la cui entità è modesta e non richiede neppure forme sacramentali.
Nella prassi commerciale e soprattutto quella bancaria, la fidejussione assume invece caratteristiche molto importanti proprio per la rilevanza del credito, attuale o futuro, che essa deve garantire. Il codice civile pone diversi limiti a questa forma di garanzia: anzitutto la manifestazione di volontà non può essere tacita ma deve essere espressa; poi essa copre tanto il debito principale quanto gli accessori e le spese; poi passa a tutelare le posizioni dello stesso fideiussore il quale per esempio può opporre al creditore tutte le eccezioni che può svolgere il debitore, come pure deve essere messo in condizioni di agire - in surroga del creditore - verso il debitore, dopo che ha pagato il debito e così via. Alcune particolarità di questo contratto, però, sono spesso … dimenticate e trascurate. Anzitutto il codice stabilisce la regola principale che se il fideiussore garantisce obbligazioni future, è necessario che fin dal momento della sottoscrizione venga fissato (e non lasciato in bianco) un tetto massimo alla garanzia (di qui la nullità delle fidejussioni cd. “omnibus”); poi all’art.1956 stabilisce che “Il fideiussore per un'obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito.” E qui la casistica è copiosa soprattutto per le fidejussioni prestate a favore di società che continuano ad essere “sovvenzionate” dagli istituti di credito, anche nei momenti immediatamente antecedenti il fallimento della società stessa; la norma successiva invece prevede che: “Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell'obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. Anche qui non sempre la norma viene rispettata: nei mutui, ad esempio, dove i tempi di pagamento delle rate sono molto lunghi (anche semestrali) e la banca, “per politica aziendale” aspetta la morosità di almeno due rate prima di “proporre le sue istanze contro il debitore”.
In ogni caso è fondamentale tener presente un principio: le violazioni vanno rappresentate ritualmente in giudizio e non devono essere dimenticate; al di fuori del giudizio, non mi è ancora capitato che un istituto di credito rinunci alla sua pretesa nei confronti del fideiussore, … spontaneamente!
(Avv. Angelo Remedia)

Giro di vite per il motociclista indisciplinato: se non indossa il casco la multa è valida anche senza la contestazione immediata; ma….

Ancora una deroga al principio della contestazione immediata dell’infrazione al codice della strada: la Corte di Cassazione nella sentenza n.11656/2010, specificando che l'art. 200 del codice della strada "prevede che la violazione sia immediatamente contestata al trasgressore quando possibile", ha sottolineato la validità della multa anche se i vigili non l’hanno contestata nell’immediatezza del fatto. Questo perché secondo quanto specificato dall'art. 384 del d.P.R. n. 495/92, non c'è bisogno di contestazione immediata nei casi di materiale impossibilità ad effettuarla.
Nella fattispecie esaminata dalla Corte i vigili non avevano fermato il motociclista perché in quel momento erano impegnati in un'altra contestazione.
Una nota personale: il principio e la deroga sono condivisibili ma gli agenti accertatori hanno l’obbligo di indicare i motivi della impossibilità alla contestazione nel verbale stesso, senza clausole seriali o di stile.
(Avv. Angelo Remedia)

domenica 9 maggio 2010

Stare in famiglia? meglio il carcere. Ma chi evade dagli arresti domiciliari per fuggire dalla famiglia, non commette reato!

Nocera. Un uomo esasperato dai rapporti con la propria famiglia, ha deciso di "evadere" dai domiciliari per farsi riportare in cella e scontare la reclusione in carcere.
Ma la Suprema Corte, ha fatto il resto! La sesta sezione penale con la sentenza n. 16673/2010 ha stabilito che in una simile situazione non sussistono i presupposti del reato di evasione e spiega che chi si trova agli arresti domiciliari ed "esce dal luogo degli arresti, intenzionalmente, alla presenza dei Carabinieri, al fine di porre consapevolmente in essere una trasgressione idonea a ricondurlo in carcere, data l’impossibile convivenza con i familiari, non commette il reato di evasione". Difetta in un caso del genere il dolo tipico del reato previsto e punito dall'articolo 385 del codice penale. La fattispecie del dolo, spiega la Corte, "consiste nella consapevolezza e volontà di usufruire di una libertà di movimento vietata dal precetto penale". Durante il processo l'imputato ha dichiarato di non essersi sottratto ai controllo della Polizia giudiziaria, che era presente all'atto della "evasione". Egli ha semplicemente realizzato una condizione fattuale nei termini che gli erano stati indicati come idonei a determinarne il rientro in carcere.
(Avv. Angelo Remedia)

La banca non è responsabile per aver pagato assegni falsi se la difformità delle sottoscrizioni non è evidente “a vista”.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 8127 del 02 aprile 2010, ha ribadito il principio, affermato più volte dalla stessa Corte, che la diligenza richiesta alla banca trattaria nel valutare la firma di traenza prima di inviare un assegno in stanza di compensazione è quella media e non impone l’utilizzo di particolari sistemi di analisi e o di strumentazioni per l’accertamento della genuinità del titolo di credito.
Il fatto risale al luglio del 1997 e questo ne giustifica anche la portata. La società ricorrente scoprì il furto di ben 84 assegni bancari il 18 luglio 1997 e lo denunciò ai Carabinieri il successivo 21 mentre alla banca lo comunicò il 23. Purtroppo tra il 7 e l’11 luglio, tre assegni furono incassati per aprire nuovi conti correnti, con delle firme che la ricorrente assumeva essere false.
Cosicchè la ricorrente, con la propria impugnativa lamentava il mancato utilizzo da parte della banca, di supporti elettronici, nel caso di specie la cd. scansione, per accertare se vi fosse stata o meno una falsificazione delle firme di traenza apposte su assegni rubati e negoziati e per questo l’istituto di credito aveva omesso quella diligenza di cui all’ art. 1176 secondo comma cod. civ., che invece avrebbe permesso di rilevare la falsificazione ed escluso l’addebito .
La Suprema Corte ha invece sottolineato che la banca trattaria, nel confrontare la corrispondenza delle firme di traenza con quelle depositate dal correntista, deve utilizzare la diligenza media, pertanto la violazione dell’obbligo di diligenza può rilevarsi quando la difformità risulti “ictu oculi”, senza che sia necessario l’utilizzo di particolari strumenti attrezzature meccaniche o chimiche, idonee a rilevare la falsificazione o la loro alterazione, né sarebbe possibile richiedere ai dipendenti della banca una particolare competenza grafologica.
Una nota personale: da tempo ormai il pagamento degli assegni avviene per via elettronica se l’importo facciale non supera i 3.000,00 Euro ossia con la modalità elettronica della cd. check truncation (la compensazione ed il pagamento avviene la stessa notte per via telematica); per somme superiori c’è ancora la stanza di compensazione “materiale”. E’ evidente che nel primo caso, che ricomprendono la stragrande maggioranza delle transazioni con assegni, il controllo umano non c’è affatto, se non per casi appositamente “segnalati”.
Sulla pronuncia arrivata "solo 13 anni dopo" ... è in linea con la media dei processi italiani che vanno in Cassazione.
(Avv. Angelo Remedia)

No alla decurtazione dei punti della patente per guida con il telefono senza auricolare, se la contestazione dell’infrazione non è immediata.

Anche la Consulta aveva espresso il medesimo principio di diritto. Oggi è la Cassazione che nella sentenza n. 10636 del 29 aprile 2010, ha ribadito che “detta contestazione era illegittima in un caso in cui, essendo stata omessa la contestazione immediata dell’infrazione, non era stato identificato il conducente del veicolo”. Nei fatti il giudice di pace di Roma, respingeva l’opposizione proposta da un automobilista contro il prefetto di Roma, per l’annullamento della ordinanza ingiunzione, a seguito di un ricorso per annullamento della multa per aver usato, un telefono cellulare non dotato di auricolare, mentre era alla guida. L’automobilista aveva così proposto ricorso per cassazione della sentenza. Gli Ermellini, dopo aver citato nella motivazione anche una sentenza della Consulta sul tema (sent. 24 gennaio 2005 n. 27), hanno accolto il ricorso dell’automobilista, decidendo nel merito e annullando il verbale di contestazione impugnato.
(Avv. Angelo Remedia)

lunedì 3 maggio 2010

Cassazione: assegno di mantenimento e casa familiare possono essere interdipendenti.

Proprio così. La Corte di Cassazione ha stabilito che se il figlio si allontana dalla casa coniugale, il coniuge perde l'assegnazione del diritto di abitazione esclusivo della casa ma ha diritto ad un aumento dell'assegno di mantenimento.
Questo perché il presupposto imprescindibile per l'assegnazione della casa coniugale "al coniuge non titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale, è costituito dalla presenza di figli minori ancora economicamente non autosufficienti".
Nel caso specifico, però, il provvedimento di assegnazione della casa era stato espressamente preso anche a titolo di integrazione delle disposizioni di carattere economico sicchè, "il venir meno del presupposto" della presenza dei figli, da un lato non preclude la modifica del provvedimento e cioè la revoca dell'assegnazione della casa familiare, ma dall’altro rende legittima la rideterminazione dell'assegno divorzile.
Nella parte motiva della sentenza la Corte spiega che la variazione dei provvedimenti presi all’atto del divorzio (o della separazione) costituisce "un principio generale che trascende la specifica previsione [...] normativa e deve ritenersi consentita pertanto anche in tema di assegnazione della casa coniugale, la cui eclusione peraltro sarebbe priva di alcuna valida giustificazione giuridica qualora vengano meno le ragioni che l'hanno determinata”.
(Avv. Angelo Remedia)

Notifica effettuata direttamente dall’Avvocato: si perfeziona al momento della spedizione dell’atto.

La sentenza n. 2055 emessa il 13.04.2010 dal Consiglio di Stato interviene a comporre l’acceso dibattito nato in materia di notifiche di atti giudiziari effettuate direttamente dagli Avvocati a mezzo del servizio postale ex art. 3, L. 21/01/1994, n. 53.
Il Consiglio ha infatti ritenuto che anche in tali circostanze la notificazione “si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all'ufficiale giudiziario”, ovvero con la consegna all’ufficio postale per la effettiva spedizione mediante lettera raccomandata a/r. Questo, con salvezza di possibili decadenze rispetto ai termini di legge. La notificazione si può dunque ritenere perfezionata alla data della spedizione (ovvero con quella della consegna all’ufficio), e non più a quella dell’effettiva ricezione dell’atto da parte del destinatario.
Così è stato deciso in merito all’appello promosso avverso la sentenza resa dal TAR Piemonte, Torino, Sez. I, n. 1018/2009, con cui era stato ritenuto tardivo, per consunzione del termine di legge, il ricorso giurisdizionale promosso avverso un provvedimento amministrativo di diniego in materia edilizia; in tale circostanza il Tribunale (come spesso accaduto già in altre sentenze) aveva preso a riferimento non la data di spedizione postale, ma quella di effettiva ricezione del plico da parte dell’Amministrazione destinataria, ritenendo che “è solo relativamente alle notifiche effettuate dal primo [ufficiale giudiziario], in quanto pubblico ufficiale deputato specificamente ed istituzionalmente ad effettuare notifiche di atti giudiziari, che è intervenuta la Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 477/2002, e che pertanto non può applicarsi alle notifiche effettuate in proprio dall’avvocato ex art. 3, l. n. 53/1994, il meccanismo anticipatorio del momento perfezionativo della notifica alla consegna del plico all’Ufficiale notificante”.
I Giudici di appello, tenuto conto anche dell’intervenuta riforma dell’art. 149 c.p.c., hanno invece proposto una lettura diversa della normativa in materia, superando l’aspetto meramente formale e testuale per cui detta norma si riferisca esclusivamente alle notifiche effettuate a mezzo Ufficiale Giudiziario, senza considerare la pari attività compiuta direttamente dagli Avvocati; per questo ha determinato il principio del perfezionamento della notifica sin dalla spedizione del plico.
(Dr.ssa Annachiara Salvio)

lunedì 26 aprile 2010

Storica pronuncia della Cassazione in tema di usura bancaria: la cms va inclusa nel calcolo del TEG.

La Corte di Cassazione si pronuncia sulla metodologia del calcolo del TEG. Con la sentenza 12028 del 26.3.2010 ha stabilito che la commissione di massimo scoperta va ricompresa nel calcolo del TEG. Questo testualmente il passo più significativo: “Questo collegio ritiene che il chiaro tenore letterale del comma IV dell’art. 644 c.p. (secondo il quale per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo, e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito) impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito. Tra essi rientra indubbiamente la Commissione di massimo scoperto, trattandosi di un costo indiscutibilmente collegato all’erogazione del credito, giacchè ricorre tutte le volte in cui un cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente, e funge da corrispettivo per l’onere, a cui l’intermediario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente.
Ciò comporta che nella determinazione del tasso effettivo globale praticato da un intermediario finanziario nei confronti del soggetto fruitore del credito deve tenersi conto anche della commissione di massimo scoperto, ove praticata.”
Da tempo ormai, e da più parti, (incluso il sottoscritto) si attendeva un segnale netto della Suprema Corte verso una problematica – l’usura bancaria - che seppur diffusa e riconosciuta, non ha ancora visto condanne definitive.
(Avv. Angelo Remedia)

Il figlio che picchia i genitori per avere i soldi rischia una condanna per estorsione.

A tanto è arrivata la sesta sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza depositata il 19 aprile 2010, n. 14914. Già in secondo grado il figlio violento era stato condannato a 2 anni e a 4 mesi di reclusione, per le continue violenze perpetrate ai danni dei genitori. Questi avevano confermato le violenze subite, mentre il figlio aveva sostenuto la legittimità delle sue pretese, perché, in mancanza di un lavoro e quindi di una fonte di sostentamento, i suoi genitori avrebbero dovuto mantenerlo “per lo stretto legame di parentela” esistente.
La Corte ha stabilito che “pur essendo pacifico il principio che l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, secondo le regole degli artt. 147 e 148 cod. civ., non cessa “ispo facto”, con il raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell’obbligo non dia la prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un’attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia di rifiuto ingiustificato dello stesso (…) va nella specie rilevato come non risulti affatto la prova che le somme, chieste con le modalità violente che risultano accertata, fossero destinate al mantenimento dell’imputato. Ne consegue che, in difetto di tale essenziale connotazione causale dell’agire del ricorrente, si è nella specie verificata l’azione esecutiva e la soggettività del delitto di estorsione e non la minore fattispecie criminosa disciplinata dall’art.39 393 c.p.”.(il quale ultimo disciplina il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone).
(Avv. Angelo Remedia)

Il cane morde? Il padrone paga: per responsabilità oggettiva.

Cattive notizie giungono dalla Suprema Corte per i proprietari di cani. D’ora in poi, a seguito dei principi stabiliti dalla sentenza 9037/2010, il proprietario dell’animale che ha aggredito un terzo non avrà più scuse o giustificazioni: si dovrà risarcire il danno. A nulla varrà aver fatto tutto il possibile perché il danno stesso si verificasse; neanche la prova di aver tenuto l’animale legato con la catena o di aver esposto il cartello “attenti al cane” esimeranno dalla responsabilità. L’unica chance di vedersi esentato da responsabilità sarà quello di provare che il fatto sia dipeso da un evento talmente improvviso da aver superato “ogni possibilità di resistenza o contrasto da parte dell'uomo”. Per gli Ermellini, infatti, “la prova di avere usato la comune diligenza nella custodia dell'animale” non libera il proprietario dalla responsabilità ex art. 2052 c.c.: tale responsabilità, spiega la Corte, “prevista a carico del proprietario o di chi si serve dell'animale per il periodo in cui lo ha in uso, in relazione ai danni cagionati dallo stesso, trova un limite solo nel caso fortuito, ossia nell'intervento di un fattore esterno alla causazione del danno, che presenti i caratteri della imprevedibilità, della inevitabilità e della assoluta eccezionalità”.
(Dr.ssa Annachiara Salvio)

domenica 18 aprile 2010

Contestazione sulla base degli studi di settore? E' essenziale il contraddittorio.

E' proprio l'Agenzia delle Entrate che in una recente circolare indica come essenziale il dialogo con il contribuente e dunque anche il contraddittorio.
Solo con questo, infatti il contribuente può rappresentare la sua reale posizione e dunque spiegare le motivazioni di un eventuale discostamento dal relativo studio di settore. Quest'ultimo, infatti rappresenta delle presunzioni statistiche del Ministero, non certo la prova della concreta attività del contribuente.
Ci sembra che la strada dell'Agenzia vada verso una civiltà giuridica che vede le parti in posizione paritetica e contribuisce dunque alla deflazione dell'eventuale contenzioso tributario, sicchè condividiamo in pieno gli intendimenti mostrati.
(Avv. Angelo Remedia)

Processo civile: basta smemorati o distratti. In sede di interrogatorio fanno ritenere ammessi i fatti.

Cambiando orientamento, la Suprema Corte, con la recente pronuncia n. 7783 del 31.03.2010, ha stabilito che anche le dichiarazioni “evasive e non attendibili” rese in sede di interrogatorio formale nel processo civile sono equiparabili alla “mancata risposta” di cui all’art. 232 c.p.c.
In forza di questa norma il giudice può ritenere come ammessi i fatti indicati nell’interrogatorio formale nei casi in cui la parte non si presenti o rifiuti di rispondere senza giustificato motivo.
Nel caso delle risposte evasive (es. “non ricordo”), sinora non erano equiparate alla completa reticenza sicchè non producevano alcuna ammissione o negazione dei fatti stessi.
Secondo un’interpretazione letterale della norma processuale in esame, i giudici della Cassazione hanno affermato che è lo stesso legislatore, con la testuale formulazione della norma, ad aver inteso equiparare, a fini probatori, sia l’omessa risposta sia i comportamenti comunque reticenti, laddove l’art. 232 c.p.c. statuisce che tutte le ipotesi collegabili all’inciso “se la parte non si presenta o rifiuta di rispondere senza giustificato motivo…” costituiscono i presupposti affinché il giudice possa ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio formale.
Pertanto, le dichiarazioni dal tenore evasivo e non attendibile (ad es. contraddittorie) devono ritenersi senz’altro equiparabili alla mancata risposta, con conseguente applicazione dell’art. 232 c.p.c. e dunque reputare quei fatti come ammessi.
(Avv. Eleonora De Tommaso)

Illegittimo il licenziamento del lavoratore in sciopero, che blocca altri colleghi non scioperanti.

Non è licenziabile il lavoratore scioperante che impedisce ai colleghi non scioperanti di recarsi al lavoro.
Tale è l’orientamento promosso dalla Corte di Cassazione (sentenza n.7518/2010) la quale, pur riconoscendo l’illegittimità di tale comportamento che compromette l'altrui diritto all'espletamento della prestazione lavorativa, ha ritenuto che lo stesso non lede il rapporto fiduciario che lega il lavoratore all'azienda. E’ stato infatti respinto il ricorso di una fabbrica che chiedeva la conferma del licenziamento inflitto ad un dipendente il quale, sostando per due ore davanti all'azienda in una giornata di sciopero, tentava di convincere i colleghi crumiri a non recarsi sul posto di lavoro.
Respingendo il ricorso dell’azienda la Suprema Corte ha sottolineato come, pur ritenendosi il picchettaggio illegittimo poiché lesivo del "diritto della parte datoriale alla prosecuzione dell'attività aziendale" anche in caso di sciopero, la sanzione del licenziamento risulta eccessiva. In particolare il comportamento del dipendente scioperante “non era sfociato in atti di materiale violenza ai danni del compagno di lavoro il quale risultava fosse stato strattonato e fatto arretrare rispetto all'ingresso della fabbrica che aveva gia' varcato, senza che, tuttavia, fosse stato fatto segno di ulteriore violenza fisica".
Per la Cssazione dunque mancherebbe nel caso di specie "la giusta causa di licenziamento".
(Dr.ssa Annachiara Salvio)

lunedì 12 aprile 2010

La statura non può essere un ostacolo nei concorsi pubblici. Tranne per categorie speciali.

Il Tribunale Amministrativo del Veneto ha accolto, con una sentenza dello scorso 2 Aprile 2010, il ricorso di una “vigilessa” esclusa dal Corpo dei Vigili Urbani di Verona “perché troppo bassa”. Nei fatti è alta m. 1,61 contro i m. 1,63 previsti nel bando.
Ora quel bando è risultato illegittimo laddove prevedeva un limite minimo di statura: già una legge del 1986 affermava che “l’altezza delle persone non costituisce motivo alcuno di discriminazione per la partecipazione ai concorsi pubblici indetti dalle pubbliche amministrazioni” tranne che per alcuni casi tassativi ossia: Forze armate, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Corpo forestale, Vigili del fuoco e Ferrovie dello Stato. E qui mancava appunto la Polizia Municipale.
Peraltro in queste “categorie speciali” il limite minimo viene fissato in m.1,61 e dunque più morbido del bando impugnato; osservazione che puntualmente ha specificato anche il Tribunale laddove “la statura minima prescritta dal bando non appare in ogni caso congrua, tenuto conto di quanto stabilito per posizioni professionali sicuramente comparabili”.
Un commento personale, il forte desiderio di lavorare unito all’intraprendenza di tentare un concorso, anche senza requisiti, a volte premia.
(Avv. Angelo Remedia)

Il notaio non riporta il prezzo dell’immobile nell’atto? È sanzionabile.

Il notaio che non indica il prezzo dell'immobile acquistato in un atto di compravendita rischia una sanzione disciplinare. È quanto ha stabilito di recente la terza sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza 5065 del 3.3.2010 confermando la sentenza della Corte d'Appello di Milano alla sospensione di un anno per un notaio che in un atto di compravendita non aveva indicato il prezzo dell'immobile venduto. L'irregolarità, si legge nelle motivazioni della sentenza, sta nel fatto che una simile omissione agevola il compratore nel pagamento delle imposte, stabilendo de facto un comportamento fazioso e non super partes del notaio.
In ogni caso, la sentenza della Suprema Corte precisa che l'atto di compravendita resta valido.
(Avv. Angelo Remedia)

E’ reato minacciare un dipendente di licenziamento per essersi rifiutato di prestare attività lavorativa fuori orario.

In questo senso la quinta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 11891/2010, ha condannato un capo reparto che biasimava un’impiegata per non aver svolto attività lavorativa fuori dal normale orario di servizi. Il capo reparto le avrebbe proferito che “l’avrebbe messa a fare del lavoro molto pesante o con macchinari difficili da utilizzare di modo che sarebbe stata costretta a licenziarsi per non stressarsi” sì da configurare, con la minaccia di licenziamento, un “ingiusto danno”.
La Suprema Corte ha ritenuto che tale comportamento configura i reati di minacce e di violenza privata e per tale motivo, il capo reparto è stato condannato al pagamento di una multa di 51 euro oltre al risarcimento dei danni alla lavoratrice.
(Avv. Angelo Remedia)

martedì 6 aprile 2010

La prescrizione delle cartelle esattoriali: 5 o 10 anni?

La Sezione Tributaria della Cassazione del 23 febbraio 2010 con la sentenza n. 4283 si è pronunciata sulla prescrizione dei tributi successivamente alla notifica della cartella esattoriale.
Ha operato una fondamentale distinzione nei tributi ossia “tributi con prestazione periodica” e quelli per obbligazione tributaria non periodica. Precisa la prima categoria “si riferisce alle obbligazioni periodiche o di durata, caratterizzate dal fatto che la prestazione è suscettibile di adempimento solo con decorso del tempo …di guisa che soltanto con il protrarsi dell’adempimento nel tempo si realizza la causa del rapporto obbligatorio”
Nello specifico la disposizione codicistica prevista dall’art. 2948 c.c., n. 4, (sulla prescrizione quinquennale), trova applicazione nell’ipotesi di prestazioni periodiche in relazione ad una causa debendi continuativa, mentre la medesima norma non trova applicazione nella ipotesi di "debito unico" seppur frazionato.
Orbene per i primi (e tra questi vanno ricompresi a titolo di esempio i tributi per il passo carrabile, per i rifiuti urbani…), il termine di prescrizione è quinquennale.
Per i secondi (e tra questi vanno ricompresi i tributi per IVA, IRPEF, IRAP…), il termine di prescrizione è decennale.
La sentenza è di notevole importanza in quanto fa luce su una materia spesso controversa e la riprova è data dalla stessa nascita del procedimento, nel 2002, quando sia la Commissione Tributaria Provinciale (1° grado) che quella Regionale (2° grado) avevano rigettato detta interpretazione e la correlativa eccezione di prescrizione.

Il figlio adolescente che aggredisce i genitori può essere condannato per maltrattamenti.

Rischia una condanna per maltrattamenti l'adolescente intemperante che aggredisce verbalmente e fisicamente i genitori. Questo anche se il ragazzo è cresciuto in un clima di ostilità familiare o abbia una giovanissima età.
Lo ha stabilito la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione nella sentenza n. 12798 del 30.03.2010, respingendo il ricorso di un ragazzo accusato di ripetuti maltrattamenti ai danni del padre, della madre, e della sorella.
La difesa del figlio era incentrata sul clima familiare di “notevole conflittualità” esistente all’epoca dei fatti, minimizzando gli episodi ossia riconducendoli in “accesi ed animati litigi” e nel carattere reticente delle deposizioni rese in sede testimoniale dai suoi congiunti.
I giudici sono stati fermi nel respingere tali argomentazioni, attribuendo la reticenza delle vittime al loro comprensibile tentativo di ridimensionare la vicenda, dopo che il giovane aveva lasciato la casa paterna. Quanto invece alla giovanissima età dell’imputato all'epoca dei fatti, la Corte ha affermato che egli, "nonostante la giovane età (che, comunque non era tale da impedirgli di compiere liberamente le sue scelte di vita) era consapevole della sofferenza arrecata ai propri congiunti sia con atti di violenza fisica sia con frequenti aggressioni verbali".
(Avv. Angelo Remedia)

lunedì 29 marzo 2010

Un sospiro di sollievo per gli automobilisti tartassati: gli autovelox devono essere gestiti esclusivamente dalla polizia.

Gli autovelox devono essere gestiti dalla polizia stradale: ogni utilizzo da parte di soggetti privati, configura abuso d’ufficio, perseguibile ai sensi dell’art. 323 del codice penale: lo ha stabilito la sesta sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 10620, depositata il 17 marzo 2010.
Nello specifico leggiamo che “..l’accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale ricade tra le attività prevista dall’art. 11 lett. a) del codice stradale e quindi costituisce servizio di polizia stradale non delegabile a terzi” inoltre “le apparecchiature eventualmente utilizzate per tale accertamento debbono essere gestite direttamente da parte degli organi di polizia stradale e devono essere nella loro disponibilità”.
Anche questo costituisce motivo per chiedere l’annullamento delle correlative multe rilevate.
(Avv. Angelo Remedia)

Gli ampi poteri decisionali fanno acquisire la qualifica di dirigente a prescindere dalla procura speciale del datore di lavoro.

Ancora una volta la Cassazione ribadisce il concetto della prevalenza delle mansioni di fatto espletate, contro l’apparenza contrattuale che disciplina il rapporto di lavoro. Con la sentenza n. 5809 del 10 marzo 2010, infatti, la Suprema Corte ha respinto il ricorso di un consorzio confermando il riconoscimento della qualifica di dirigente in favore di un lavoratore al quale era stata data "un'ampia autonomia gestionale" come la gestione di fatture per oltre un milione e mezzo di euro. Confermata così la decisione del giudice di secondo grado, la Corte ha sottolineato che "il giudice di merito ha compiuto le operazioni logiche indicate, accertando i requisiti - soprattutto contrattuali - per l'individuazione della figura professionale del dirigente, ha accertato le mansioni con il relativo grado di autonomia gestionale e decisionale ed ha proceduto al necessario raffronto, per concludere che la qualifica dirigenziale spetta al lavoratore.” Nella sentenza si legge inoltre che "ai fini del riconoscimento della qualifica dirigenziale è necessario e sufficiente che sia dimostrato l'espletamento di fatto delle relative mansioni, caratterizzate nella specie dalla preposizione a più servizi con ampia autonomia decisionale. Affermare la necessità del rilascio di procura speciale significa subordinare il riconoscimento della qualifica ad un atto discrezionale del datore di lavoro, di per sé insindacabile, con conseguente violazione del principio della corrispondenza della qualifica alle mansioni svolte, norma questa inderogabile a danno del lavoratore. In altri termini, pur in presenza di tutti i requisiti per il riconoscimento della qualifica di dirigente, il riconoscimento stesso verrebbe subordinato al consenso del datore di lavoro".
(Avv. Angelo Remedia)

"Serve un uomo". Per la Cassazione è reato.

Costituisce un'offesa a tutti gli effetti che fa scattare la condanna penale ed il risarcimento a favore delle donne. In questo modo la quinta sezione penale ha reso definitiva una condanna per diffamazione con tanto di risarcimento nei confronti di una giornalista di un quotidiano e del suo interlocutore, un sindacalista della Cisl, colpevoli di aver pubblicato un articolo sul carcere di Arienzo (CE) diretto da una direttrice donna, in cui si diceva testualmente 'Carcere, per dirigerlo serve un uomo'.
La quinta sezione penale della Cassazione, con la sentenza 10164 del 2010, ha respinto il ricorso e ha evidenziato che correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che la frase 'sarebbe meglio una gestione al maschile' è "oggettivamente diffamatoria ed è da sola idonea ad affermare la responsabilità sia dell'intervistato che dell'intervistatore"."La censura mossa alla persona offesa è sganciata da ogni dato gestionale ed è riferita al solo fatto di essere una donna. E' un gratuito apprezzamento...contrario alla dignità della persona perché ancorato al profilo, ritenuto decisivo, che deriva dal dato biologico dell'appartenenza all'uno o all'altro sesso".
(Dott. Luigi Napolitano)

domenica 21 marzo 2010

Cade in revocatoria il pagamento fatto dalla società fallita alle banche, per debiti dei soci.

Il massimo organo della Corte di Cassazione ha riaffermato il principio di cui all'art. 64 legge fall. Ossia e più in generale, sono inefficaci i pagamenti posti in essere dal soggetto fallito in favore di un terzo e che non hanno avuto – per sé - un vantaggio patrimoniale.
Il caso riguarda una società fallita che aveva pagato al Monte dei Paschi di Siena i debiti dei suoi soci; debiti per oltre 1 milione di euro. La curatela aveva chiesto l'annullamento del pagamento e, il Tribunale di Lamezia Terme aveva accolto l'istanza. La Corte d'Appello aveva poi confermato questo capo della decisione. Il ricorso in Cassazione della banca è stato rigettato, confermando la pronuncia d’appello di inefficacia del pagamento.
In diritto, le Sezioni Unite Civili della Cassazione con la sentenza n. 6538 del 18 marzo 2010, hanno risolto un contrasto di giurisprudenza affermando che "in tema di revocatoria fallimentare di atti a titolo gratuito, ai sensi dell'art. 64 legge fall., la valutazione di gratuità od onerosità di un negozio va compiuta con esclusivo riguardo alla causa concreta, costituita dallo scopo pratico del negozio, e cioè dalla sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato; per cui la relativa classificazione non può più fondarsi sulla esistenza o meno di un rapporto sinallagmatico e corrispettivo tra le prestazioni sul piano tipico ed astratto, ma dipende necessariamente dall'apprezzamento dell'interesse sotteso all'intera operazione da parte del solvens, quale emerge dall'entità dell'attribuzione, dalla durata del rapporto, dalla qualità dei soggetti e soprattutto dalla prospettiva di subire un depauperamento collegato o non collegato ad un sia pur indiretto guadagno o ad un risparmio di spesa". Pertanto, nell'ipotesi di estinzione da parte del terzo (in questo caso la società poi fallita) "di un'obbligazione preesistente cui egli sia estraneo, l'atto solutorio può dirsi gratuito, agli effetti dell'art. 64 legge fall., solo quando dall'operazione che esso conclude, sia essa a struttura semplice perché esaurita in un unico atto, sia a struttura complessa in quanto si componga di un collegamento di atti e di negozi, il terzo non ne trae nessun concreto vantaggio patrimoniale ed egli abbia inteso recare un vantaggio al debitore". Mentre, la ragione deve considerarsi "onerosa" tutte le volte che il terzo riceva un vantaggio per questa sua prestazione dal debitore, dal creditore o anche da altri, cosí da recuperare anche indirettamente la prestazione adempiuta ed elidere quel pregiudizio, "cui l'ordinamento pone rimedio con l'inefficacia ex lege".
(Avv. Angelo Remedia)

Il lavoratore precario rimane un disoccupato.

La Cassazione Sezione Quinta Penale con la sentenza n. 48361/2008 si è indirettamente occupata del caso: un lavoratore che aveva partecipato ad un concorso pubblico sottacendo la sua assunzione temporanea come coadiutore sanitario presso la Asl di Taranto era stato condannato - nei due gradi di giudizio precedenti - per il reato di falso ideologico in atto pubblico, per aver indotto in errore i pubblici funzionari, sul suo stato di lavoro.
Tutto è partito dalla denuncia della Asl che aveva chiesto, ed ottenuto, anche il risarcimento dei danni (!)
La Cassazione ha annullato le sentenze di condanna perché "il fatto non sussiste" in quanto "un rapporto di impiego precario e temporaneo non può essere ritenuto sufficiente a fare venire meno il requisito dello stato di disoccupazione". Gli Ermellini hanno infatti osservato che anche qualora il lavoratore "avesse correttamente segnalato la propria condizione di assegnatario in via provvisoria del posto di coadiutore sanitario presso la Asl, ciò non avrebbe comportato la sua cancellazione dall’elenco di disoccupati tenuto dall’ufficio provinciale del lavoro".
In conclusione, la Suprema Corte ha sottolineato la prevalenza dell’interesse del lavoratore alla conservazione dello “status di disoccupato”, pur in presenza di brevi periodi di lavoro, ai fini della conservazione dei benefici che tale stato prevede, in relazione, nel caso esaminato, alla partecipazione a concorsi pubblici. Dunque le finalità del sistema di protezione sociale derivante dalle norme sullo stato di disoccupazione non possono venir meno solo perché sia stata effettuata una qualche esperienza lavorativa le cui caratteristiche fondamentali sono la temporaneità dell’impiego, la sua brevità e
l’incertezza sul futuro. Ed anzi, aggiungerei, la partecipazione al concorso pubblico mira proprio ad ottenere un posto di lavoro che è opposto al perdurare del precariato pertanto questo non può essere ostativo alla libera e legittima ricerca di un proprio stabile lavoro.
(Avv. Angelo Remedia)

Al coniuge separato spetta l'assegno sociale se l’obbligato non paga il mantenimento.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6570 del 18 marzo 2010, ha respinto il ricorso dell'Inps confermando le due decisioni di merito concordanti. Nei fatti, dopo la separazione lui non aveva mai corrisposto alla moglie l'assegno determinato dal giudice. Lei, quindi, aveva fatto domanda per l'assegno sociale. L'Inps l'aveva respinta sostenendo che qualunque altro tipo di reddito è incompatibile con la prestazione previdenziale. Reddito del quale è sufficiente essere titolare seppur non concretamente percepito. La sezione lavoro del Tribunale, cui si è rivolta la donna, ha invece ritenuto sussistente il buon diritto della donna alla prestazione richiesta. La Corte d'Appello di Firenze ha poi confermato la decisione dei primi giudici.
I giudici della Cassazione sezione lavoro hanno sottolineato che avere in teoria diritto al mantenimento, in realtà mai percepito (e con buona probabilità date le condizioni economiche di lui, senza nessuna speranza di riceverlo) non esclude la possibilità di ottenere l'assegno sociale.
"È lo stesso legislatore, che collegando il conguaglio ai redditi effettivamente percepiti attesta che, agli effetti di cui trattasi, non è irrilevante la concreta percezione del reddito. Conseguentemente essendo il conguaglio strettamente connesso, non alla mera titolarità di un reddito, bensì alla sua effettiva percezione, è da ritenere che il reddito incompatibile intanto rileva in quanto sia stato effettivamente acquisito al patrimonio dell'assistito".
Tanto più in questo caso dove la Corte di Firenze ha verificato che "l'assegno di mantenimento - o c.d. di divorzio - non è stato mai corrisposto alla signora per ragioni di accertata incapienza del coniuge divorziato".
Conferma dunque la sentenza di merito che, "dopo aver accertato la mancata percezione di un reddito incompatibile e la infruttuosa concreta attivazione dell'assistito per la riscossione di tale reddito, ha riconosciuto la spettanza del reclamato beneficio [assegno sociale] non considerando rilevante, ai fini di cui trattasi, la mera titolarità di tale reddito incompatibile, ritenendo necessario, ai fini della esclusione del beneficio; anche l'effettiva sua percezione".
Un commento personale: quando potremo vedere un po’ di “ragionevole buonsenso” nella Pubblica Amministrazione? Da quel giorno si eviteranno tante cause…
(Avv. Angelo Remedia)

domenica 7 marzo 2010

Risarcimento dei danni da 'vacanza rovinata', anche per chi trova spiaggia e mare sporchi.

La Suprema Corte ha finalmente fatto un passo avanti nel marasma delle false promesse. Qualora il depliant mostrava spiaggia bianchissima e mare cristallino, il turista non può trovare spiaggia sporca e mare inquinato. Se succede va risarcito. Non solo: spiaggia e mare puliti sono una legittima aspettativa di chi va in vacanza.
I Giudici della Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n.5189/2010 hanno respinto il ricorso di un tour operator che i giudici di appello avevano condannato a risarcire il danno ad una coppia che aveva trascorso una vacanza in Grecia. Nei fatti, la coppia aveva acquistato un pacchetto vacanza in un club di Creta; ed il depliant mostrava una spiaggia bella ed un mare eccellente. Giunti a Creta trovavano invece tutt’altro.
In primo grado il Tribunale respingeva le domande dei turisti sostenendo che la pulizia della spiaggia e la purezza del mare "non dipendevano dalla responsabilità dell'albergo". La Corte d'appello ribaltava la pronuncia condannando il tour operator a risarcire un danno di oltre mille euro per la settimana di vacanza rovinata. Ora anche la Cassazione ha confermato la condanna spiegando che "l'organizzatore o il venditore… di un pacchetto turistico… assumono specifici obblighi soprattutto di tipo qualitativo, riguardo a modalita' di viaggio, sistemazione alberghiera, livello dei servizi che vanno esattamente adempiuti" anche sulla base di quanto viene proposto sui propri "depliant illustrativi".
(Avv. Angelo Remedia)

Tribunale trasforma i Co.Co.Pro. in lavoratori subordinati a tempo indeterminato.

La sentenza è una conferma del principio della prevalenza, in materia lavoristica, delle situazioni di fatto rispetto alla forma delle stesse. Valutato preliminarmente il “progetto” indicato, esso è risultato fortemente generico e dunque inconsistente; di qui la sua inidoneità. Nello specifico poi, il Tribunale ha accertato che ricorrevano anche alcuni requisiti che la giurisprudenza della Suprema Corte indica come caratterizzanti il rapporto di lavoro subordinato, ben distinto da quello autonomo che svolgono i collaboratori co.co.pro.; tra questi: “…: l’osservanza di un orario predeterminato, la continuità della prestazione lavorativa, l’inserimento della prestazione nell’organizzazione aziendale e il coordinamento con l’attività imprenditoriale, l’assenza di rischio per il lavoratore e la forma della retribuzione.” Così il Tribunale di Benevento con la sentenza del 15.12.2009 che ha ordinato la reintegra nel posto di lavoro ed il pagamento delle mensilità arretrate.
(Avv. Angelo Remedia)

Multe. Le percezioni sensoriali dei verbalizzanti, possono essere contestate senza la necessità di presentazione della querela di falso.

Con la sentenza n. 25676 del 4 dicembre 2009, la Seconda Sezione civile della Suprema Corte, ha accolto il ricorso di un automobilista, il quale proponeva opposizione presso il Giudice di Pace di Palermo avverso il verbale della locale Polizia Municipale, con il quale gli era stata applicata una sanzione amministrativa per la violazione degli artt. 41 - 141 e 146 C.d.S.; l’automobilista affernava di non aver commesso l'infrazione, perchè quel giorno e nell'ora indicati nel suddetto verbale egli si trovava in tutt'altro luogo.
La sentenza impugnata, dopo aver premesso che la mancata contestazione immediata della infrazione comportava una diminuzione del valore probatorio, ha rilevato che peraltro l'opposizione proposta dall’automobilista non era basata su una critica ai meccanismi di rilevazione, ma "sull'errore netto dell’agente nella lettura della targa".
Gli Ermellini hanno così deciso: “…….Se invero il C. con l'opposizione proposta aveva contestato un errore di fatto da parte del verbalizzante in ordine al numero di targa dell'auto con la quale era stata commessa l'infrazione, come ritenuto dal Giudice di Pace adito, il riferimento di quest'ultimo all'efficacia probatoria privilegiata del verbale sopra richiamato della Polizia Municipale di Palermo è erroneo, considerato che, secondo l'orientamento consolidato di questa Corte, per contestare le affermazioni contenute in un verbale proveniente da un pubblico ufficiale su circostanze oggetto di percezione sensoriale, come tali suscettibili di errore di fatto, non è necessario proporre querela di falso, ma è sufficiente fornire prove idonee a vincere la veridicità del verbale, secondo l'apprezzamento rimesso al Giudice di merito…..”.
Da ciò si deduce il principio affermato e riconfermato in questa sentenza, ossia per contestare le affermazioni contenute in un verbale proveniente da un pubblico ufficiale su circostanze oggetto di percezione sensoriale, e come tali suscettibili di errore di fatto non è necessario proporre querela di falso, ma è sufficiente fornire prove idonee a vincere la presunzione di veridicità del verbale.
(Dr. Luigi Napolitano)

domenica 21 febbraio 2010

Vendita in blocco e vendita cumulativa. Effetti sulla prelazione immobiliare del conduttore.

Con la sentenza 23749/2008 la Cassazione ha tracciato un solco nelle vendite immobiliari ai fini del correlativo diritto del conduttore, di prelazione nell’acquisto.
“…in tema di locazione di immobili urbani ad uso diverso da quello d'abitazione, …, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell'affermare che i detti diritti di prelazione e riscatto non sorgono in favore del conduttore … qualora la alienazione a terzi riguardi, alternativamente, o l'intero edificio nel quale si trova l'immobile locato o una parte dello stabile medesimo costituente un complesso unitario, con individualità propria diversa da quella della singola unità locata (cd. vendita in blocco), mentre sussistono [i diritti di prelazione] in presenza della vendita a terzi di più unità immobiliare, ancorchè, per ipotesi, nello stesso corpo di fabbrica, ma non strutturalmente omogenei [confinanti] nè funzionalmente coordinati (cd. vendita cumulativa) (In questo senso, ad esempio, tra le tantissime, Cass. 20 dicembre 2007, n. 26981).”
Prosegue la Corte che è del tutto ininfluente l’animus dell’acquirente che voglia in futuro unire funzionalmente gli immobili, è invece necessario che l’intero complesso immobilare “…sia dotato di una propria oggettiva ed effettiva individualità strutturale e funzionale, tale da non essere oggettivamente frazionabile in distinti trasferimenti delle singole porzioni di fabbricato..”
Concludendo, se la vendita riguarda diverse unità immobiliari tra loro collegate fisicamente perché confinanti, oppure sono funzionalmente coordinate nella loro possibilità di utilizzo, si è in presenza di una “vendita in blocco” che esclude la sussistenza della prelazione del conduttore in locazione non abitativa; se non sussiste il collegamento fisico o funzionale tra gli immobili, si è in presenza di una “vendita cumulativa” o plurima e come tale soggetta alla prelazione ed al riscatto del conduttore dell’immobile ceduto.
(Avv. Angelo Remedia)

Il lavoratore improduttivo può (e deve) essere licenziato. Parola di Cassazione.

La sentenza 3125/2010 della sezione lavoro della Cassazione ha reiterato un principio fondamentale del rapporto lavorativo tra azienda e dipendente: l’obbligo della diligente collaborazione dovuta dal lavoratore.
In particolare gli Ermellini hanno sottolineato che le aziende possono legittimamente licenziare il lavoratore nel caso in cui dimostrino che sussiste una significativa sproporzione tra la media produttiva degli altri dipendenti e quanto il singolo lavoratore riesce effettivamente a realizzare. Pressocchè ininfluente la circostanza che il lavoratore risulti impiegato solo da pochi mesi in quanto se all’inizio del rapporto di lavoro si può comprendere una certa difficoltà di adattamento a mansioni che possono essere nuove, tale adattamento non può essere superiore ad un paio di mesi se si tratta di mansioni semplici, manuali e ripetitive. Nel caso esaminato, la Suprema Corte ha sentenziato che la Corte d’Appello aveva correttamente accertato una evidente violazione della diligente collaborazione del dipendente.
Una riflessione personale: nel caso esaminato la sproporzione era fortemente determinata da una componente volontaria del lavoratore contraria agli interessi dell'azienda; in questi casi è salutare per l'impresa togliere la "mela marcia dal paniere sano".
(Avv. Angelo Remedia)

domenica 14 febbraio 2010

Anche i fallimenti devono avere una “ragionevole durata”.

La sentenza 28318/09 della Corte di Cassazione ha indicato in 7 anni la durata normale o meglio ragionevole che deve avere una procedura fallimentare, oltre i quali è possibile chiedere il risarcimento. Gli Ermellini richiamando un orientamento della Corte di Giustizia Europea hanno ribadito che questo termine tiene conto anche del tempo necessario per definire nei vari gradi di giudizio i procedimenti incidentali nati dal fallimento (6 anni in totale) e il tempo necessario per il riparto dell'attivo (un anno).
Nella motivazione della sentenza la Corte aggiunge di aver tenuto conto della particolare complessità delle procedure specificando che: "Nel fissare il termine di ragionevole durata, nella valutazione della complessità della vicenda processuale, deve quindi tenersi conto delle fasi strumentali alla definizione dei rapporti e della liquidazione dei beni, rilevanti in quanto incidenti sulla complessità del caso, ferma restando la necessità di estendere il sindacato anche alla durata di dette cause, ed alle ragioni delle medesime, avuto riguardo alla loro obbiettiva difficoltà ed alla mole dei necessari incombenti".
(Avv. Angelo Remedia)

Consenso informato: limiti risarcitori, onere della prova del medico e del paziente.

Con la sentenza 2847/2010, la 3° sezione della Corte di Cassazione ha fatto chiarezza in materia di consenso informato. Nello specifico ha ribadito il diverso onere della prova che incombe sulle parti. Sicché nel caso in cui il medico abbia omesso di informare il paziente sui rischi e sulle caratteristiche di un determinato intervento, la correlativa richiesta risarcitoria del paziente - per danni derivati con il peggioramento delle sue condizioni di salute - può essere accolta solo nel caso in cui provi che, qualora fosse stato correttamente informato dei rischi, avrebbe rifiutato di sottoporsi all'intervento stesso.
Senza questa specifica prova, il paziente potrebbe domandare solo il risarcimento del danno per la lesione del proprio diritto di autodeterminazione.

Per altro verso si sottolinea che l'intervento stesso del medico, anche solo in funzione diagnostica, importa comunque l'instaurazione di un rapporto di tipo contrattuale. Ne consegue che, effettuata anche solo la visita diagnostica (in esecuzione del contratto), l'illustrazione al paziente delle conseguenze (certe o incerte che siano, purché non del tutto anomale) della terapia o dell'intervento che il medico reputa necessari o opportuni ai fini di ottenere, il necessario consenso del paziente all'esecuzione della prestazione terapeutica, costituisce un obbligo del medico. Quest’ultimo dovrà darne compiuta prova a fronte della semplice negazione del paziente.
In conclusione "per addossare al medico le conseguenze negative dell'intervento, necessario e correttamente eseguito, sarebbe occorso addivenire alla conclusione che la paziente non vi si sarebbe sottoposta se fosse stata adeguatamente informata, non potendosi altrimenti affermare la sussistenza di nesso dì causalità tra la violazione (omessa informazione) e il bene giuridico che si assume leso (la salute)".
(Avv. Angelo Remedia)

Al lavoratore va attribuita la qualifica relativa alle mansioni di fatto svolte, anche se formalmente le mansioni erano assegnate ad un superiore.

"Al fine di escludere il diritto del dipendente alla superiore qualifica (...) non è sufficiente che il datore di lavoro, nell'esercizio del suo potere organizzativo, conferisca ad altri dipendenti la titolarità formale delle mansioni stesse, ovvero degli elementi più qualificanti delle stesse": con questa motivazione, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 27825/2009, ha respinto il ricorso delle Poste contro la denuncia di un dipendente che voleva vedersi riconosciute le mansioni svolte, diverse da quelle certificate sul contratto di lavoro ma di fatto svolte, seppur contemporaneamente attribuite ad altro dirigente. Con questa sentenza i giudici di Piazza Cavour segnano un punto a favore dei diritti dei lavoratori, da oggi più tutelati circa le mansioni effettivamente svolte in azienda.
(Dr. Luigi Napolitano)

sabato 6 febbraio 2010

La cancellazione del protesto bancario prima della decorrenza dell’anno? Ora è ammissibile.

La pronuncia è di un Tribunale marchigiano, il quale ha accolto il ricorso d’urgenza di un imprenditore protestato per mancanza di fondi, ma che aveva onorato quanto dovuto successivamente, ma la banca non aveva provveduto alla cancellazione e/o alla rettifica sulle banche dati pubbliche.
L’importanza della sentenza risiede principalmente nello “slalom giuridico” compiuto per raggiungere una tutela fino a questo momento mai attuata e che rappresenta una pronuncia da “Bastian contrario”.
Proviamo a sintetizzarne i principi: la legge 12 febbraio 1955, n. 77, mentre prevede che il debitore protestato su cambiale o vaglia cambiario, ha diritto di ottenere la cancellazione del proprio nome dal registro informatico qualora, entro il termine di dodici mesi dalla levata del protesto, provveda al pagamento del titolo e di tutti gli accessori, non consente, invece, al traente di un assegno bancario, di ottenere la cancellazione del proprio nome dal medesimo registro informatico anche qualora esso abbia adempiuto nel termine di 60 giorni dal protesto, negandogli quindi la possibilità di ottenere la cancellazione del proprio nome dal registro informatico dei protesti. Della questione, si è occupata anche la Corte Costituzionale sulla disparità di trattamento delle situazioni molto simili tra loro, ma ha confermato l’impianto della legge.
Così oggi è stata posta una nuova questione al vaglio del Tribunale, ossia la legittimità alla detenzione ed alla pubblicazione di dati non (più) veritieri – ossia lo status di debitore - nel Registro dei Protesti, nonostante l'avvenuto pagamento, perché contrasta apertamente con i principi affermati dal D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 in materia di privacy. Tutto con particolare attenzione all’inevitabile danno (di reputazione commerciale e di negato accesso al credito) derivante dal permanere dei dati non veritieri. Il Tribunale ha ritenuto ammissibile ed accolto il ricorso ex art. 700 c.p.c.
(Avv. Angelo Remedia)

Il doppio requisito di pubblicità del fondo patrimoniale.

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza del 13 ottobre 2009, n. 21658, ha fissato quali siano i criteri indispensabili affinché lo strumento del fondo patrimoniale possa effettivamente preservare la sicurezza economica della famiglia dalle eventuali aggressioni di creditori e dunque essere opponibile ai terzi.
Così il Supremo Collegio precisa che se il fondo patrimoniale è costituito anche da beni immobili, occorre una doppia pubblicità: la trascrizione nei registri immobiliari e l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio. Infatti, soltanto con la doppia pubblicità si realizza a pieno la conoscenza dei terzi ed i coniugi eviteranno eventuali aggressioni dei creditori ai beni di famiglia.
La Suprema Corte puntualizza questo principio, conformandosi al consolidato orientamento giurisprudenziale per il quale la costituzione del fondo patrimoniale, poiché rientra, tra le convenzioni matrimoniali regolate dall'art. 162 del Codice civile, per essere opponibile ai terzi necessita l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio, mentre il vincolo di destinazione sugli immobili è soggetto alla trascrizione prevista dall'art. 2647 c.c..
Per completezza ricordiamo che se l’atto non è opponibile ai terzi, esso ha mera efficacia interna e dunque per l’eventuale aggressione creditoria non è neppure necessaria una preventiva azione revocatoria del fondo patrimoniale.
(Avv. Angelo Remedia)

Il danneggiato ha diritto anche all’importo dell’Iva indicata in preventivo nonché al c.d. “fermo tecnico” nel caso di mancato utilizzo del mezzo.

La Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile – con la sentenza del 27 gennaio 2010, n.1688 in materia di risarcimento danni da incidente stradale a favore dei danneggiati ha affermato che il risarcimento del danno deve estendersi anche agli oneri accessori e conseguenziali, dunque, se esso è liquidato in base alle spese da affrontare per riparare un veicolo, il risarcimento deve comprendere anche l'IVA, pur se la riparazione non è ancora avvenuta.
Inoltre, ha affermato che è possibile la liquidazione equitativa del c.d. danno da fermo tecnico anche in assenza di prova specifica, essendo sufficiente la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo. L'Autoveicolo, osserva la Suprema Corte è, infatti, fonte di spesa (tassa di circolazione, premio di assicurazione) anche durante la sosta forzata per le riparazioni, spesa comunque sopportata dal proprietario, ed è altresì soggetto a un naturale deprezzamento di valore.
(Avv. Gianluca Brogi)

Cassazione Civile: risarcimento del danno patito per mancata autotutela della Pubblica Amministrazione.

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di illegittima pretesa tributaria: alla domanda "se, in linea di principio la P.A. possa essere responsabile ai sensi dell'articolo 2043 Codice Civile per il mancato o ritardato annullamento di un atto illegittimo, nell’esercizio del potere di autotutela, ove tale comportamento arrecasse danno al privato, o se ciò costituisse violazione ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico" la Cassazione ha risposto positivamente.
La Terza Sezione Civile della Suprema Corte, con la sentenza 19 gennaio 2010, n.2010 ha dichiarato che: ove il provvedimento di autotutela non venga tempestivamente adottato, al punto di costringere un privato cittadino ad affrontare spese legali e d'altro per proporre ricorso e per ottenere per questa via l'annullamento dell'atto, la responsabilità della P.A. è innegabile e permanente. Si tratta dunque dell'accertamento che il danno conseguente all'atto illegittimo, ha prodotto tutti i suoi effetti, poiché la P.A. non è intervenuta tempestivamente ad evitarli, con i mezzi che la legge le attribuisce.
(Dr. Luigi Napolitano)

domenica 31 gennaio 2010

I beni del fondo patrimoniale non sono aggredibili dal fallimento.

Alcuni o tutti i beni di proprietà dei coniugi possono costituire il cd. “fondo patrimoniale”, ossia quell'insieme di beni costituiti per far fronte ai bisogni stretti della famiglia. Si tratta di un vincolo “di destinazione” del bene e, se per costituirlo è sufficiente la volontà dei coniugi, per rimuoverlo occorre l’autorizzazione del giudice tutelare qualora nella famiglia vi fossero figli minori.
La prima sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza 1112/2010, ha specificato che detti beni non possono essere acquisiti dal fallimento dell’imprenditore (uno dei coniugi) neppure per la sua quota di pertinenza. La sentenza, prendendo in considerazione il D. Lgs n. 5 del 2006 che ha modificato l'art. 155 della legge fallimentare, si deve escludere il concetto di “confusione del patrimonio” tra i beni destinati a soddisfare esigenze specifiche (quelli costituiti nel fondo patrimoniale) con gli altri beni di proprietà dell'imprenditore fallito.
Approfondimenti sul fondo patrimoniale.
(Avv. Angelo Remedia)

Il passeggero non allaccia la cintura? Fatelo scendere!

Ebbene si. La Cassazione si è pronunciata contro un automobilista per omicidio per un passeggero che viaggiava senza cinture allacciate. Nella sentenza 3585/2010 la Corte sottolinea che chi è alla guida non può essere tollerante perchè è "titolare di una posizione di garanzia" e deve quindi "prevedere e prevenire le altrui imprudenze e avventatezze". Con tale premessa, la Corte è stata ferma: di fronte a persone restie ad indossare la cintura, anche nei sedili posteriori dell'auto, bisogna farle scendere senza esitazione. Il Supremo Collegio ha dunque confermato una condanna per il reato ex art. 589 del codice penale di omicidio colposo, inflitta ad un automobilista che non aveva preteso dal passeggero che gli sedeva accanto, di indossare le cinture in quanto a causa di un incidente il trasportato aveva perso la vita.
(Avv. Angelo Remedia)

Il medico dichiara falsamente di avere lavorato un'ora in più? E' truffa.

Il medico dichiara falsamente di avere lavorato un'ora in più? Scatta la condanna per il reato di tentata truffa. Parola di Cassazione, secondo la quale l'aver indicato un numero di ore di lavoro straordinario superiore al reale anche se si tratta di un'ora o poco più è condotta di per sè idonea ed univoca ad indurre in errore l'amministrazione di appartenenza all'atto del conteggio delle ore da retribuire.La seconda sezione penale della Suprema Corte (sentenza 2772/2010) ha confermato una condanna per tentata truffa inflitta ad un medico reo di aver attestato sul foglio presenze giornaliero un'ora di servizio in più. Il medico rivolgendosi ai giudici di Piazza Cavour ha sostenuto che la sua condotta non poteva considerarsi offensiva posto che aveva interessato un arco temporale troppo breve. Nulla da fare. Anche se la pubblica accusa aveva concluso per l'assoluzione, ha respinto il ricorso affermando che è da considerarsi di "apprezzabile offensività"
(Dr. Luigi Napolitano)

sabato 23 gennaio 2010

Il lavoratore può rinunciare alla impugnativa del licenziamento.

La Corte di Cassazione sez. lavoro con la sentenza n. 22105/2009 ha fissato il principio che il lavoratore può liberamente disporre del diritto di impugnativa del licenziamento, e dunque può farne oggetto di rinunce o transazioni. Questo in deroga all’art. 2113 c.c., il quale reputa impugnabili gli atti di rinunzia dei lavoratori ai diritti inderogabili di legge o ccnl.
Il caso riguardava un lavoratore che aveva accettato una “somma a saldo e stralcio di ogni sua spettanza” anche per rinunziare alla reintegra nel posto di lavoro; da qui la Corte ha reputato che “il recesso datoriale non era più illegittimo e, non erano più dovute somme a risarcimento di una eventuale illegittimità originaria del licenziamento”.
(Avv. Angelo Remedia)

Per rilevare l’infrazione del passaggio con il rosso semaforico occorre la presenza “in loco” degli agenti.

Secondo la Cassazione (Sezione Seconda Civile, Sentenza 28 dicembre 2009, n.27414): "In tema di violazioni del codice della strada, le condizioni che in caso di rilevamento della velocità a mezzo di apparecchiatura tipo autovelox consentono la contestazione differita dell'infrazione non ricorrono nella diversa ipotesi in cui l'attraversamento di un incrocio con luce semaforica rossa sia constatato a mezzo di apposita apparecchiatura fotografica. D'altra parte, l'istituzionale rinuncia alla contestazione immediata non è conforme alle possibili situazioni che in tali evenienze possono verificarsi (come ad es. nel caso di coda di veicoli che non consenta al mezzo che abbia legittimamente impegnato un incrocio di attraversarlo tempestivamente) e che solo la presenza di un agente operante "in loco" può ricondurre nell'alveo della corretta applicazione delle disposizioni relative".
(Avv. Gianluca Brogi)

Uso del cellulare in auto? No alla decurtazione dei punti se non c'è la contestazione immediata.

Se non viene contestata immediatamente l’infrazione consistente nel parlare con il cellulare mentre si è al volante (senza fare uso dell'auricolare), non può dar luogo ad alcuna decurtazione dei punti della patente. Per applicare tale sanzione accessoria al proprietario dell'auto, occorre avere certezza sul fatto che fosse proprio lui alla guida del mezzo e che effettivamente faceva uso del telefono. Questa sentenza è la logica conseguenza di quanto già annunciato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 27/2005) che aveva dichiarato l'illegittimità dell'articolo 126 bis del codice della strada nella parte in cui assoggettava a tale sanzione il proprietario dell'auto in caso di mancata identificazione del conducente.
(Avv. Gianluca Brogi)

domenica 10 gennaio 2010

Anche la Cassazione dice basta alle sentenze scritte a mano: è indice di poca considerazione del cittadino e del difensore.

La Cassazione, nel decidere un ricorso avverso la decisione della Corte di Appello hanno, di fatto bacchettato i giudici amanuensi.
Premesso che non è vietato scrivere a mano, questa modalità di redigere le sentenze dimostra dicono "attenzione ridotta da parte del magistrato amanuense alla manifestazione formale della funzione giurisdizionale" e mette "in secondo piano le esigenze del lettore e in particolare di chi, avendo riportata condanna, pretende di conoscere agilmente le ragioni''.
Ricorrendo in Cassazione, infatti, i due imputati hanno cercato di annullare la sentenza che i Giudici della Corte di Appello avevano scritto a mano e con una grafia poco leggibile e, seppur il loro ricorso è stato rigettato perché "la lettura del testo non era impedita da grafia ostile al punto da precluderne la comprensione al di là di ogni ragionevole dubbio", gli Ermellini hanno sentito il dovere di stilettare i colleghi per tale deprecabile modalità.
(Avv. Angelo Remedia)

Interessi legali: tasso del 1% dal 1 gennaio 2010

Con decreto del 4 dicembre 2009 il Ministero dell'Economia e delle Finanze (Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 291 del 15.12.2009) ha fissato al 1% il tasso di interesse legale da applicarsi con decorrenza 1 gennaio 2010, decurtando dunque di due punti il precedente saggio.
Un commento: il tasso di interessi sale e scende in forza di leve economiche e di scelte politiche; quando scende, se da un lato alcune persone in difficoltà con un debito (non gli incalliti che non pagano affatto) ne trovano giovamento perchè consente loro di farvi fronte, grandi società ci baseranno la strategia economica aziendale nella scelta dei tempi in cui onorare i propri debiti (leggasi ad es. le assicurazioni nel pagare o meno i sinistri rilevanti...) con inevitabili riflessi sugli stessi cittadini in difficoltà, e sulla già ingolfata macchina della giustizia civilistica che inevitabilmente verrà ancor più inondata di cause.
(Avv. Angelo Remedia)

Cassazione: non spetta al giudice disporre la rateizzazione delle multe.

Un cittadino del Comune di Firenze, ha ricevuto una serie di multe, tutte elevati per l’abitudine di circolare, in corsie riservate. Proponeva una sola opposizione innanzi al Giudice di Pace per l’annullamento dei numerosi verbali. Il Giudice rigettava l’opposizione, e tuttavia, decidendo secondo equità, concedeva un pagamento dilazionato dell’importo dovuto, pari ad € 2.777,61, attraverso dieci rate mensili.
La Suprema Corte di Cassazione accogliendo il ricorso del Comune ha cassato la sentenza impugnata sia nella parte in cui ha disposto dell’ammontare secondo equità sia nella rateizzazione del pagamento. Gli Ermellini ricordano che: “il beneficio della rateizzazione può essere accordato solo a chi si trova in condizioni disagiate, e comunque le rate non possono essere più di trenta e non essere inferiore a 15 euro”.
La Sentenza n. 26932/2009, ha dunque accolto il ricorso, ritenendo che il giudice di pace non aveva il potere di concedere la rateizzazione, in quanto l’art. 26 della legge sulle sanzioni amministrative, consente il pagamento rateale, ma su disposizione dell’autorità che ha applicato la sanzione e che, nel caso di specie, era stato il Comune di Firenze. Ora l’automobilista Fiorentino dovrà pagare oltre le multe anche ulteriori 400 euro di spese processuali al Comune.
(Dr. Luigi Napolitano)