martedì 20 luglio 2010

Nel processo civile l'avvocato può essere testimone.

E' ancora vigente il divieto per l'avvocato di assumere anche la veste di testimone nello stesso processo, ma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16151 del 8 luglio 2010, nel decidere un caso di un avvocato umbro, ha stabilito che nei casi in cui manca la "contestualità" delle due figure, l'avvocato può anche essere testimone.
Nel caso specifico il professionista, prima di assumere la difesa del cliente, aveva reso la testimonianza e poi aveva ricevuto e confermato l'incarico di difensore.
La terza sezione civile ha motivato sostenendo che la posizione del legale non può essere equiparata a quella dei magistrati sulle incompatibilità processuali. Qui si tratta prevalentemente di un problema di "deontologia professionale" o comunque di una questione da risolvere con una legge. In sentenza si legge infatti che "dipende dalle regole deontologiche se dovrà essere data la prevalenza all'ufficio di testimone o al ruolo di difensore, ovvero se la scelta dovrà essere lasciata al difensore". Specificatamente, "la Corte costituzionale ha ripetutamente avuto modo di rilevare che tale compatibilità di funzioni trova un idoneo correttivo nel principio del libero convincimento del giudice e nel suo dovere di valutare "con pruderete apprezzamento e spirito critico" la deposizione di ogni testimone che non sia "immune dal sospetto di interesse all'esito della causa".
In conclusione, "non sussiste un'incompatibilità tra l'esercizio delle funzioni di difensore e quelle di teste nell'ambito del medesimo giudizio, se non nei termini della contestualità, per cui contemporaneamente il difensore non può anche essere testimone".
(Avv. Angelo Remedia)

Nulla la decurtazione dei punti della patente del proprietario che non comunica il nome del conducente.

Nulla la decurtazione dei punti della patente del proprietario che non comunica il nome del conducente. Questa è la decisione della Cassazione a Sezioni Unite (alla quale i giudici italiani dovranno uniformarsi) n. 16276 del 12 luglio 2010. Resta ferma, però, la sanzione pecuniaria per mancata comunicazione delle generalità del "conducente trasgressore".
Gli Ermellini, in sostanza, hanno dato piena applicazione a una decisione della Corte Costituzionale del 2005, con la quale si affermava che è illegittima, per contrarietà al principio della ragionevolezza, "l'applicazione dell'articolo 126 bis co. 2 Dlgs. 285/92, nella parte in cui dispone che in caso di mancata identificazione del conducente autore della trasgressione e di mancata successiva comunicazione dei relativi dati personali e di abilitazione guida, entro il termine di 30 giorni dalla notifica,da parte del proprietario del veicolo, cui il verbale di accertamento della violazione fosse stato notificato, quest'ultimo avrebbe subito la sanzione della decurtazione del punteggio della patente, dovendo invece trovare applicazione in siffatti casi soltanto l'ulteriore sanzione pecuniaria".
(Avv. Angelo Remedia)

L’assegno in bianco del prenditore (beneficiario) è valido.

La recente sentenza della Corte di Cassazione del 14 luglio 2010 n. 16556, ribadendo il precedente orientamento espresso nella sent. 18528/2007, ha stabilito che Anche senza il nome del prenditore l’assegno bancario è valido anzi è equiparabile all’assegno bancario al portatore o può essere girato a un terzo.
Questo infatti il principio enunciato: “Il possessore di un assegno bancario in cui non figuri l’indicazione del prenditore oppure che sia stato girato dal primo prenditore o da ulteriori giratari sia con girata piena che con girata in bianco ha il diritto al pagamento dello stesso in base alla sola presentazione del titolo, senza che, se presentato per il pagamento direttamente all’emittente, questa possa pretendere che il titolo contenga anche la firma di girata di colui che ne richiede il pagamento”.
Di qui il principio per il quale l’assegno bancario che viene rilasciato senza l’indicazione del nome del prenditore vale come assegno bancario al portatore e può essere convertito in titolo all’ordine oppure riempito con il proprio nome e trasferito a un terzo.
(Avv. Angelo Remedia)

domenica 11 luglio 2010

Il mantenimento va ridotto se il coniuge obbligato paga da solo la rata di mutuo.

È legittima la decurtazione dell'assegno di mantenimento se il coniuge cui spetta l'obbligo dell'assegno paga per intero la rata del mutuo della casa coniugale, acquistata in regime di comunione dei beni, in cui vive esclusivamente la moglie assegnataria.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 15333 del 25 Giugno 2010, ha respinto il ricorso di una moglie che si era vista ridurre dai giudici d’appello il mantenimento perché l’ex pagava da solo la rata del muto della casa coniugale a lei assegnata. I due si erano lasciati per incompatibilità caratteriale. In particolare l’uomo aveva iniziato a distaccarsi fino a lasciare la moglie sola, anche di notte. Per questo il Tribunale gli aveva addebitato la separazione, ponendo a suo carico un assegno di 400 euro al mese. In appello il mantenimento era stato ridotto a 200 dato che, aveva motivato la Corte territoriale, l’uomo pagava da solo la rata del mutuo. Contro questa decisione l’ex ha fatto ricorso in Cassazione ma senza successo.
“La decurtazione dell’assegno di mantenimento – si legge in sentenza – dovuto dal marito separato alla ricorrente dell’importo di 200 euro mensili è stato giustificato dalla circostanza del pagamento da parte del predetto dell’intera rata di mutuo gravante sulla casa coniugale, acquistata in comunione e adibita ad abitazione della moglie”.
(Avv. Angelo Remedia)

Comodato senza termine. In caso di separazione la casa va restituita ai suoceri che l’avevano prestata al figlio.

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 15986 del 7 luglio 2010, cambiando rotta rispetto a una giurisprudenza che sembrava ormai consolidata ha sancito la possibilità per i genitori di vedersi restituire la casa dove, dopo la separazione, vivono la ex nuora e i nipoti.
I fatti sono accaduti a Lecce dove una coppia aveva dato in comodato una casa di proprietà al figlio sposato. Nel frattempo erano nati dei nipoti ma poi i due si erano separati. In un primo momento il Tribunale pugliese aveva dato loro ragione, ordinando alla donna la restituzione dell'immobile. Poi la Corte d'Appello aveva cambiato le carte in tavola assegnando l'immobile alla nuora affidataria dei bambini. Contro questa decisione la coppia di anziani ha fatto ricorso in Cassazione che ha dato loro ragione.
Il punto di forza per la terza sezione civile è stata la nozione di "comodato precario" ed ha sancito che qualora un immobile sia stato dato in comodato privo di termine, "la fattispecie integra il comodato precario, caratterizzato dalla circostanza che la determinazione del termine di efficacia del vinculum iuris costituito tra le parti è rimesso in via potestativa alla sola volontà del comodante, che ha facoltà di manifestarla ad nutum con la semplice richiesta di restituzione del bene, senza che assuma rilievo la circostanza che l'immobile sia stato adibito ad uso familiare e sia stato assegnato, in sede di separazione tra coniugi, all'affidatario dei figli".
(Avv. Angelo Remedia)

Per il fisco i criteri presuntivi prevalgono su quelli di cassa. (!)

La Cassazione ci sbalordisce ancora: con la sentenza n. 16235 del 9 luglio 2010 la Corte interviene sui redditi dei professionisti. Gli studi di settore e i coefficienti presuntivi prevalgono sui criteri di cassa. Il professionista, infatti, non può provare il suo reddito, a dispetto dell’accertamento presuntivo notificato dal fisco, sulla base di quanto ha effettivamente incassato nell’anno di imposta contestato. Insomma il fatto che il compenso possa essere pagato nell’anno successivo non è rilevante ai fini fiscali.
Mah.
(Avv. Angelo Remedia)