domenica 19 febbraio 2012

La crisi non autorizza il datore di lavoro ad imporre condizioni inique. Anzi è estorsore.

Ancora una volta la Corte di Cassazione interviene a tutela dei diritti del lavoratori. Gli ermellini hanno infatti stabilito, con sentenza 4290/12, che qualora un datore di lavoro, facendo leva sulla nota crisi economica e lavorativa dei tempi attuali, nonché dell’evidente prevalenza della domanda di lavoro rispetto all’offerta, induca, con modi anche solo velatamente minacciosi, il lavoratore ad accettare un salario inadeguato rispetto al lavoro effettivamente svolto o, più in generale, condizioni di lavoro contrarie alle leggi e ai contratti collettivi, potrà essere perseguito penalmente e condannato per estorsione.
La Corte ha rigettato il ricorso di un datore di lavoro, indagato per estorsione, con il quale richiedeva la revoca degli arresti domiciliari. Tale decisione è stata presa dalla Corte poiché la stessa ha ravvisato sia nelle modalità dell'assunzione (pagamento inferiore a quello contrattuale), sia delle modalità con le quali veniva corrisposto il salario, da una parte, l'elemento oggettivo della minaccia (o il lavoratore accettava non solo di essere sottopagato ma anche di firmare una quietanza per una somma superiore della quale, poi, doveva restituire la differenza, oppure non veniva assunto o, se assunto, veniva licenziato) dall’altra l'elemento dell'ingiusto profitto da parte dell'indagato che, con le suddette modalità, non solo otteneva che i dipendenti lavorassero per lui sottopagati ma anche si tutelava dalle eventuali azioni civilistiche dei lavoratori tese ad ottenere quanto loro dovuto.La misura cautelare, poi, è stata motivata con il timore che una misura meno afflittiva potesse consentire all’imprenditore di intervenire ancora su persone che erano parte della sua passata o presente vita aziendale dunque nel pericolo di reiterazione del reato ex art.274 c.p.p. (Dr.ssa Annachiara Salvio)

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