domenica 18 ottobre 2009

In carcere chi continua a gestire una azienda in decozione, occultando lo stato di crisi.

L’imprenditore che gestisce la società in stato di decozione ossia in crisi “verosimilmente” irreversibile, continuando ad investire e coprendo i buchi con dei finanziamenti, rischia il carcere. Ciò anche se la gestione avventata è durata pochi mesi.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 38577 del 5 ottobre 2009, ha confermato la condanna per bancarotta e ricorso abusivo al credito nei confronti di un piccolo imprenditore, socio di maggioranza di una sas, che, nonostante il periodo di crisi attraversato dall’azienda, aveva continuato a fare investimenti facendosi finanziare dalle banche per quasi un anno.

Il licenziamento del lavoratore, se non è immediatamente contestato dal datore di lavoro, può essere annullato.

La Sentenza n. n. 21221/2009 della Corte di Cassazione Sezione Lavoro ha deciso che il licenziamento del lavoratore subordinato, contestato in ritardo dall'azienda senza un motivo plausibile, può essere annullato.
I giudici del Supremo Collegio nella sentenza, rifacendosi ad una sentenza, ormai datata, hanno così motivato “…la sentenza di questa Corte 14.4.2005 n. 7729, accogliendo il terzo motivo del ricorso allora in discussione, osservava che nel licenziamento per giusta causa, l’immediatezza della comunicazione del provvedimento espulsivo rispetto al momento della mancanza addotta a sua giustificazione, ovvero rispetto a quello della contestazione, si configura come elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore; peraltro il requisito dell’immediatezza deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessiva della struttura organizzata dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice di merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o mento il ritardo”.

Cassazione: spetta al Fisco provare la falsità delle fatture.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21317/2009 della Quinta Sezione Civile ha fissato il seguente principio qualora il Fisco suppone che "l'operazione commerciale, documentata dalla fattura" in realtà non è mai stata posta in essere, deve darne rigorosa prova diversamente deve darne prova. La Corte ha sostenuto che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nella ipotesi di costi documentati da fatture che l’amministrazione finanziaria ritenga relative ad operazioni inesistenti, non spetta al contribuente provare che l’operazione è effettiva, ma spetta all’amministrazione che adduce la falsità del documento e, quindi, l’esistenza di un maggiore imponibile, provare che l’operazione commerciale, documentate dalla fattura , in realtà non è stata mai posta in essere”.
Una personale osservazione: il principio è quello fissato come regola generale dal nostro codice civile all’art. 2697. “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda.”
Perché per il Fisco il Codice Civile non dovrebbe valere? …

giovedì 8 ottobre 2009

Fondazione dei Consulenti del Lavoro. Il dipendente in carcere è licenziabile

Qualcuno ricorderà che a giugno 2009 la Corte di Cassazione aveva convalidato la reintegrazione di un lavoratore in azienda, finito in carcere per ragioni estranee alla sua attività lavorativa. Oggi la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro ci offre il seguente parere: il dipendente assente dal lavoro perchè carcerato può essere licenziato: non per “inadempimento”. Il licenziamento può avvenire ai sensi dell'articolo 3 delle legge 604 del 1966, in quanto per “impossibilità” della prestazione lavorativa per "ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa". La Corte di Cassazione infatti, spiega la Fondazione, con la sentenza n. 12721 del 1° giugno 2009 "ha stabilito che quando il lavoratore è assente dal lavoro a causa dello stato di carcerazione preventiva o, comunque, di detenzione a seguito di condanna per fatti estranei al rapporto contrattuale non si è in presenza di un inadempimento, bensì di un fatto oggettivo determinante una sopravvenuta impossibilità temporanea della prestazione lavorativa a norma dell'articolo 1464 c.c.. Si esclude, quindi, la riconducibilità della fattispecie in esame al licenziamento per inadempimento, sia esso per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo". Ciò non toglie, prosegue la Fondazione, che possano sussistere altre ragioni per il licenziamento. La detenzione infatti può costituire giustificato motivo di licenziamento ai sensi dell'articolo 3 legge 604/1966.

Commette reato di appropriazione indebita il coniuge separato che impedisce di prendere gli effetti personali dopo la separazione.

Con la sentenza n. 37498/2009 la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione ha ribadito la sussistenza del reato di appropriazione indebita a carico del coniuge separato che impedisce all'altro di riprendersi l’automobile e gli effetti personali. Testualmente leggiamo che “il delitto di appropriazione indebita si consuma nel momento in cui l’agente tiene consapevolmente un comportamento oggettivamente eccedente la sfera delle facoltà ricomprese nel titolo del suo possesso ed incompatibile con il diritto del titolare…”.
“Da tale principio …, si desume che il reato in questione, è consumato nel momento in cui il soggetto agente esercita la signoria sul beni uti dominus e non è necessario che la parte offesa debba formulare un’esplicita e formale richiesta di restituzione dello specifico bene oggetto della interversione del possesso”.
Nello specifico poi “la situazione di fatto maturata fra le parti (separazione con allontanamento della parte offesa dalla casa di abitazione senza il ritiro dei propri oggetti personali e della autovettura) e la corrispondenza intercorsa fra i legali, consente di ritenere che l’imputato ha avuto modo di comprendere perfettamente di trattenere presso di se oggetti appartenenti alla parte offesa …”.