sabato 22 ottobre 2011

La delibera condominiale è annullabile se l’amministratore non mette a disposizione i documenti contabili.

La sentenza della Seconda Sezione Civile della Corte dei Cassazione n. 19210/2011, ha ribadito che non è necessario che il condomino specifichi all'amministratore le ragioni per cui chiede di prendere visione o di estrarre copia di documenti contabili del Condominio. Tale richiesta, secondo gli Ermellini di Piazza Cavour, può essere fatta in qualsiasi momento e non soltanto in sede di rendiconto annuale e/o di approvazione del bilancio da parte dell'assemblea, purchè, non sia di ostacolo all'attività amministrativa e non si risolva in un peso economico per il Condominio. Il rifiuto in tal senso dell’amministratore, ove non ne sia dimostrata l'impossibilità, dà luogo a responsabilità e all'annullamento della delibera eventualmente presa dall'Assemblea Condominiale. Ad ogni buon conto, la facoltà del condomino di ottenere copia della documentazione contabile non è considerata come fine a se stessa essendo, invece, finalizzata ad un'attività di controllo non solo formale sull'attività dell'amministratore. Paralizzare questa possibilità di riscontro di ogni condomino, di conseguenza, influirebbe quindi negativamente sulla legittimità della delibera che di conseguenza potrà essere annullata.
(Avv. Maria Grazia Coppola)

Il sinistro non provoca l’aumento dell’assicurazione: ora si può!

Buone notizie per i guidatori: è possibile evitare che, in caso di incidente con colpa, si verifichi lo “scatto del malus” e che il premio assicurativo venga aumentato.
Come? Contattando la propria compagnia e riscattando quanto dalla stessa pagato in ragione del sinistro. Le modalità sono semplici, non serve che il proprietario del veicolo prenda questa decisione nelle fasi concitate che seguono il sinistro. Basta che, in prossimità della scadenza dell’assicurazione, la persona interessata chieda alla propria compagnia di conoscere l’importo complessivo dei danni pagati durante l’anno. A questo punto, confrontando le somme con quelle relative all’aumento previsto per l’aumento del premio ed il rinnovo, l’assicurato valuterà la convenienza di rimborsare alla compagnia le somme pagate per il risarcimento del danno. Ovviamente tenendo anche conto del fatto che il beneficio del riscatto è esteso anche agli anni successivi, ovvero agli anni che sarebbero necessari all’assicurato per ritornare alla precedente classe di merito.
La procedura del riscatto varia a seconda del tipo di risarcimento che è avvenuto: in caso di indennizzo diretto (ovvero danno risarcito direttamente dalla compagnia del danneggiato) la richiesta per conoscere le somme pagate va inoltrata alla Consap, qualora, invece, al risarcimento ha provveduto la propria Compagnia è alla stessa che la richiesta andrà rivolta.
Infine, importante ricordare, che la possibilità di richiedere ed effettuare il riscatto permane anche qualora, alla scadenza della polizza, l’assicurato intenda cambiare compagnia assicurativa: in tal modo alla nuova compagnia verrà presentato un attestato di rischio privo del sinistro “riscattato”.
(Dr.ssa Annachiara Salvio)

L’illegittima segnalazione alla Centrale Rischi Interbancari produce un danno risarcibile.

Con la sentenza n. 12626 del 24 maggio 2010 la Prima sezione civile della Cassazione ha stabilito che l’illegittima segnalazione dello stato di insolvenza di una società, fatta da una Banca alla Centrale dei Rischi, determina un danno di cui si può pretendere il risarcimento, in quanto la segnalazione stessa costituisce “di per sé, un comportamento pregiudizievole per l’attività economica” della società illegittimamente segnalata, evidenziando, altresì, “come il discredito che deriva da siffatta segnalazione è tale da ingenerare una presunzione di scarso affidamento dell'impresa e da connotare come rischiosi gli affidamenti già concessi; con inevitabile perturbazione dei suoi rapporti economici, e una perdita di tipo analogo a quello indicato dall'art. 1223 cod. civ., costituita dalla diminuzione o dalla privazione di un valore del soggetto e del suo patrimonio alla quale il risarcimento deve essere commisurato”.
La Corte ha aggiunto che la liquidazione del danno può avvenire anche con criteri equitativi, ai sensi degli articoli 1226 e 2056 c.c., “qualora l'attività istruttoria svolta non consenta di dare certezza alla misura del danno stesso, come avviene quando, essendone certa l'esistenza, risulti impossibile o estremamente difficoltoso provare la precisa durata del pregiudizio economico subito”.
Nel caso di specie l’illegittimità della segnalazione era dovuta al fatto che la società non versava in stato di insolvenza: e dunque non ricorrevano i presupposti per la segnalazione.
(Dr.ssa Veronica Mugno)

martedì 18 ottobre 2011

Multe: qualcosa è cambiato. Attenzione!

Multa? Pochi possono dire: “non è affar mio”.
Con l’entrata in vigore del D.lgs 150/2011, dal 7 ottobre 2011, avremo ancora meno tempo per poter fare ricorso.
In sostanza, chi riceverà una multa e vorrà contestarla, dovrà pagare una tassa minima di € 37,00 e avrà solo 30 giorni (e non più 60) per fare ricorso al Giudice di Pace.
Se, invece, vorrà ricorrere al Prefetto avrà sempre i 60 giorni di tempo, e non dovrà pagare alcun contributo, ma, nel caso in cui il ricorso non venga accolto, verrà condannato al pagamento almeno del doppio della somma del verbale e non sarà più possibile appellarsi al Giudice di Pace, ma l’unica alternativa valida sarà la Corte di Cassazione.
Nel quadro finora prospettato si profilano anche nuove ipotesi in cui le infrazioni potranno essere annullate: ad esempio, nel caso in cui la pubblica amministrazione ometta di depositare copia degli atti di accertamento prima della data dell'udienza.
Assecondando i principi generali di non retroattività delle leggi, le nuove norme saranno applicate solo ai verbali delle infrazioni contestate dopo il 6 ottobre 2011.
Le multe precedenti o i procedimenti già avviati, anche se non ancora notificati, continueranno a seguire le vecchie disposizioni.
(Dr.ssa Chiara Carocci)

Genitori separati: mantenimento cessato e …risorto!

La Prima sezione civile della Cassazione, con la sentenza n. 19589 del 26 settembre 2011, dapprima ha ribadito il principio che regola l’obbligo (ed il corrispondente diritto) al mantenimento in favore dei figli. In base al quale, infatti, “l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, ai sensi degli artt. 147 e 148 cod. civ., non cessa, ipso facto, con il raggiungimento della loro maggiore età – come ora codificato dall’art. 155- quinquies c.c., comma 1 - , ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell’obbligo stesso non dia la prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un’attività economica dipende da un comportamento inerte o di rifiuto ingiustificato dello stesso”. Posto questo come principio cardine, il Supremo Collegio ha fatto un passo in avanti, affermando la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento dei figli maggiorenni conviventi, nel caso in cui gli stessi, pur avendo espletato attività lavorativa in passato, “così dimostrando il raggiungimento di un’adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento da parte del genitore”, risultino, “allo stato”, non autosufficienti economicamente, per motivi che non dipendono da un loro comportamento inerte o da un rifiuto ingiustificato.
Nel caso di cui si è occupata la Corte, il genitore, pur avendo dimostrato che un’attività economica era stata intrapresa, non ha dato la prova che il successivo stato di disoccupazione dipendesse da un comportamento passivo attribuibile alla figlia. Per questo motivo la Corte ha stabilito la reviviscenza del diritto della figlia al contributo di mantenimento.
(Dr.ssa Veronica Mugno)

domenica 2 ottobre 2011

L’aumento dell’iva di un punto percentuale.

E’ ufficiale: in Italia l’iva è aumentata di un punto percentuale (dal 20 al 21%) sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizio pagate dopo il 17 settembre 2011. Il tutto grazie al D.L. 138 del 2011 (la cd. manovra di ferragosto) la cui conversione in legge è stata pubblicata in G.U. il 16 settembre e diviene efficace dal giorno dopo.
Con un apposito comunicato stampa, l’Agenzia delle Entrate (immaginando – forse – che tanti seppur non in lidi lontani, non erano comunque al lavoro) ha precisato che nel caso il contribuente che emette la fattura con la vecchia aliquota, può (tranquillamente) emetterne una seconda con la sola variazione in aumento prevista dall’art. 26 comma 1 DPR 633/72, e se fatto (e versato) prima della dichiarazione periodica dell’iva (mensile o trimestrale), questo non comporta sanzioni.
Amen.
Ps. qualcuno con la scusa dell’iva ha aumentato il caffè al bar da 0,90 ad 1,00 Euro (oltre il 10%); e la benzina non è da meno. Italia.
(Avv. Angelo Remedia)

La prestazione di lavoro temporanea deve essere sempre espressamente ed adeguatamente motivata. Diversamente il rapporto è a tempo indeterminato.

Gli Ermellini della sezione lavoro, con la sentenza n. 14715 del 5 luglio 2011 hanno rigettato il ricorso di una azienda condannata dalla Corte d’Appello a considerare instaurato il rapporto di lavoro a tempo indeterminato con il lavoratore. Nel caso specifico è stato ritenuto invalido il contratto del lavoratore con il fornitore “interposto” per genericità della causale del contratto, considerando invece valido e costituito quello [tra lavoratore e] con l’utilizzatore finale della prestazione lavorativa.
Nello specifico si legge: "Il contenuto del contratto di prestazione di lavoro temporaneo intercorrente tra l'impresa fornitrice ed il singolo lavoratore assume un peculiare rilievo rispetto a quanto previsto dall'art. 1, comma 2, lettera a), L. 24-6-1997 n. 196 e la mancanza/genericità dello stesso spezza l'unitarietà della fattispecie complessa voluta dal legislatore per favorire la flessibilità dell'offerta di lavoro nella salvaguardia dei diritti fondamentali del lavoratore e fa venir meno quella presunzione di legittimità del contratto interinale che il legislatore fa discendere dall'indicazione, nel contratto di fornitura, delle ipotesi cui il contratto interinale può essere concluso".
(Avv. Angelo Remedia)

La casa delle vacanze non va assegnata al coniuge separato.

La Cassazione pone un altro limite tra i coniugi separati e divorziati. Con la sentenza del 04.07.2011 n. 14553 ha stabilito che al coniuge a cui sono stati affidati i figli, non spetta l’assegnazione [anche] della casa delle vacanze in quanto deve prendersi in considerazione solo l'abitazione "principale" ossia quella dove si svolgeva [e si svolge] la vita della famiglia.
Il caso riguardava il coniuge convivente con un figlio maggiorenne, sicchè la Corte ha specificato che “…al fine dell'assegnazione ad uno dei coniugi separati o divorziati della casa familiare, nella quale questi abiti con un figlio maggiorenne, occorre che si tratti della stessa abitazione in cui si svolgeva la vita della famiglia allorché essa era unita, ed inoltre che il figlio convivente versi, senza colpa, in condizione di non autosufficienza economica”.
(Avv. Angelo Remedia)