lunedì 14 giugno 2010

Lo Stato non riconosce l’attività di prostituzione, ma il fisco vuole le tasse!

L'attività di prostituzione non viene riconosciuta dallo Stato come attività lecita e produttiva di redditi leciti e dunque tassabili, ma lo stesso tramite l'Agenzia delle Entrate impone che i proventi siano assoggettati al fisco tra i “redditi diversi”. Questo è quanto risultato dalla sentenza 109/10/10 della Commissione tributaria regionale del Lazio depositata lo scorso 3 maggio: dove la prova della attività illecita è stata riconosciuta in capo alla “contribuente” e, siccome non è riuscita a dimostrarlo sono assoggettati alla imposizione fiscale.
Nei fatti la ricorrente subì un accertamento fiscale ancorato agli incrementi patrimoniali che la donna aveva ascritto all'attività più antica del mondo. Già la Commissione provinciale di Viterbo le aveva rigettato l’impugnativa. Ora anche quella Regionale: "la ricorrente ritiene di svolgere l'attività di prostituta ma non fornisce la prova", ancora "la contribuente ha allegato solo due verbali di denuncia resa ai Carabinieri di Lodi, da cui si rileva che l'attività è stata svolta solo in quei due giorni". Orbene siccome la donna non è riuscita a dimostrare la illiceità dei redditi (dichiarati) con i quali aveva formato il suo patrimonio, lo Stato vuole le tasse perché ritiene debbano rientrare nella categoria dei redditi "diversi" (e leciti).
Una nota personale: non sarebbe opportuno che il Parlamento faccia un passo (qualunque) e decida definitivamente qualcosa sul problema della prostituzione?
(Avv. Angelo Remedia)

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