domenica 5 aprile 2009

L’anatocismo del conto corrente e la prescrizione.

Tanti amici e clienti ci hanno chiesto di dare chiarimenti su questo aspetto che quotidianamente ci capita.
Tutti gli utenti bancari sanno che l’estratto conto inviato dalla banca, se non contestato, si intende approvato. Lo stesso art. 1832 c.c. prevede, proseguendo, la possibilità di impugnarlo, per i soli errori di scritturazione, entro i successivi sei mesi.
Se invece le iniziali clausole contrattuali (o omissioni) fossero nulle, come quelle sull’anatocismo trimestrale o su un tasso di interesse indeterminato tipo “usi piazza”, la relativa azione è imprescrittibile ex art. 1422 c.c. In altre parole il giudice deve comunque stabilire che quelle specifiche condizioni sono da ritenersi nulle e questo lo si può chiedere in ogni momento. Quello che però, comunque si prescrive, è il diritto ad ottenere la restituzione di quanto si fosse pagato “a causa” delle previsioni (dichiarate o accertate) nulle: restituzione o abbattimento del debito, ovviamente…. Questo diritto si prescrive in dieci anni.
Copiosa giurisprudenza specifica che il conto corrente deve ritenersi come un contratto unitario, caratterizzato da un rapporto unitario, costituito da una pluralità di atti esecutivi e dove i singoli addebitamenti o accreditamenti non danno luogo a distinti rapporti ma determinano solo variazioni quantitative dell’unico originario rapporto. Per questo solamente con il saldo finale (chiusura del conto) si stabiliscono definitivamente i crediti ed i debiti fra le parti.
Allora la prescrizione decorre proprio dalla chiusura del conto corrente, sia quando lo chiude il correntista (magari con il pagamento anche rateizzato, del saldo negativo), sia quando lo chiude l’istituto bancario (eventualmente con il “passaggio a sofferenza”).
Perciò fino a dieci anni dopo la chiusura del conto, il correntista ha possibilità di “rivedere” il suo rapporto con la banca.

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