domenica 18 aprile 2010

Processo civile: basta smemorati o distratti. In sede di interrogatorio fanno ritenere ammessi i fatti.

Cambiando orientamento, la Suprema Corte, con la recente pronuncia n. 7783 del 31.03.2010, ha stabilito che anche le dichiarazioni “evasive e non attendibili” rese in sede di interrogatorio formale nel processo civile sono equiparabili alla “mancata risposta” di cui all’art. 232 c.p.c.
In forza di questa norma il giudice può ritenere come ammessi i fatti indicati nell’interrogatorio formale nei casi in cui la parte non si presenti o rifiuti di rispondere senza giustificato motivo.
Nel caso delle risposte evasive (es. “non ricordo”), sinora non erano equiparate alla completa reticenza sicchè non producevano alcuna ammissione o negazione dei fatti stessi.
Secondo un’interpretazione letterale della norma processuale in esame, i giudici della Cassazione hanno affermato che è lo stesso legislatore, con la testuale formulazione della norma, ad aver inteso equiparare, a fini probatori, sia l’omessa risposta sia i comportamenti comunque reticenti, laddove l’art. 232 c.p.c. statuisce che tutte le ipotesi collegabili all’inciso “se la parte non si presenta o rifiuta di rispondere senza giustificato motivo…” costituiscono i presupposti affinché il giudice possa ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio formale.
Pertanto, le dichiarazioni dal tenore evasivo e non attendibile (ad es. contraddittorie) devono ritenersi senz’altro equiparabili alla mancata risposta, con conseguente applicazione dell’art. 232 c.p.c. e dunque reputare quei fatti come ammessi.
(Avv. Eleonora De Tommaso)

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