venerdì 11 dicembre 2009

Paga il mantenimento anche chi è decaduto dalla potestà genitoriale.

Permane l’obbligo di pagare l'assegno di mantenimento per i figli anche per chi è decaduto dalla potestà genitoriale. Il principio viene sancito dalla sezione Penale della Corte di Cassazione che ha confermato una condanna di Corte d’Appello, per la violazione degli obblighi di assistenza comminata ad un uomo il quale, dopo aver perso la patria potestà sui figli, aveva deciso di tagliare il mantenimento alla ex moglie e alle due figlie. Secondo la Corte la perdita della potestà non costituisce motivo per sottrarsi dagli obblighi del mantenimento. "La pronuncia della decadenza dalla potestà genitoriale - scrive la Corte (sentenza 43288/2009) - lascia inalterati i doveri di assistenza del genitore decaduto, penalmente sanzionati, sicchè il provvedimento non incide sulla responsabilità penale, e, pertanto, non preclude la commissione del reato di cui all'art. 570 c.p. e non ne fa venire meno la permanenza". Il padre, peraltro, era stato dichiarato decaduto dalla potestà proprio perchè in precedenza aveva fatto mancare i mezzi di sussistenza a moglie e figlie. La Corte di Cassazione ha ora sottolineato come "la decadenza dalla potestà dei figli" vuole punire il genitore inadempiente privandolo dei poteri di rappresentanza e di amministrazione dei beni del figlio nonchè dell'usufrutto legale sui beni stessi, poteri tutti finalizzati alla sua educazione e istruzione. Il fatto che un genitore non faccia più il papà "lascia inalterati i doveri di assistenza del genitore decaduto" che deve continuare a mantenere i figli.
(Avv. Angelo Remedia)

Contratto di lavoro: da collaboratore a lavoratore subordinato.

Nel caso in cui il rapporto di lavoro, basato su un formale contratto di collaborazione coordinata e continuativa, risulti sprovvisto dei requisiti della specificità e della tempestività, deve applicarsi la sanzione per la mancanza di progettualità. Sicchè il contratto di lavoro deve essere modificato da parasubordinato a subordinato, trasformando in tal modo il rapporto nella forma maggiormente garantistica e tutelante per il lavoratore prevista nel nostro ordinamento. A questa conclusione è giunto il Tribunale di Genova con la sentenza n. 1188 del 31 agosto 2009.

domenica 1 novembre 2009

Al padre i permessi di congedo dal lavoro anche se la moglie è casalinga.

L’INPS, con la circolare 112/2009 recepisce un orientamento della giurisprudenza amministrativa (sent. C.d.Stato n.4293/2008) per il quale il padre ha diritto al congedo di lavoro anche se la mamma è una casalinga. Tale diritto nasce allorquando la casalinga si trovi "nell’oggettiva impossibilità di accudire la prole perché impegnata in altre attività".
Con questa circolare l’Istituto di Previdenza cambia il proprio orientamento già espresso nelle precedenti circolari laddove interpretava l'art. 40, lett. c, del d.lgs. 151/2001 - ove si prevede che il padre lavoratore dipendente può fruire dei riposi giornalieri “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente” - nel senso che per madre “lavoratrice non dipendente” dovesse intendersi esclusivamente la madre “lavoratrice autonoma" e non anche la "casalinga" (se non per gli estremi casi di morte o grave infermità della stessa).
Oggi si può ritenere ammissibile "la fruizione dei riposi giornalieri da parte del padre anche nel caso in cui la madre casalinga, considerata alla stregua della “lavoratrice non dipendente”, possa essere tuttavia “impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato” perché impossibilitata o impegnata in altre attività (ad esempio accertamenti sanitari, partecipazione a pubblici concorsi, cure mediche ed altre simili)".

Per il fisco nessuna deroga al principio dell’onere della prova.

I compensi fuori busta vanno rigorosamente documentati e non è sufficiente l’accertamento induttivo fatto al lavoratore sulla base delle dichiarazioni degli addetti all’amministrazione dell’azienda presso cui lavora. Il tutto nell’ambito di una indagine nella quale gli amministratori dichiaravano che gli ammanchi erano rappresentati dai compensi fuori busta dei dipendenti. Con la sentenza 22769 del 28 ottobre 2009 la Cassazione ha ribadito il principio per il quale i poteri istruttori del giudice tributario ex art. 7 d.lgs. 546/1992 “…sono meramente integrativi (e non esonerativi) dell’onere probatorio principale e vanno esercitati, al fine di dare attuazione al principio costituzionale della parità delle parti nel processo, soltanto per sopperire all’impossibilità di una parte di esibire documenti in possesso dell’altra parte.” ti serve? chiedici la sentenza via mail

Cassazione: può esistere la famiglia di fatto anche con soggetti dello stesso sesso.

La sentenza 40727/2009 della Cassazione Penale ha confermato la condanna di un uomo ad un anno ed otto mesi per maltrattamenti in famiglia, ipotesi prevista dall’art. 572 cod. pen. La difesa dell’imputato aveva sostenuto che l'art.572 c.p. si potesse applicare alle sole famiglie cd tradizionali ed a quelle dove sussiste una convivenza "more uxorio".
Al contrario gli Ermellini del Palazzaccio hanno ritenuto di estendere la portata della norma in quanto, il concetto di famiglia riportato "deve intendersi riferito ogni consorzio di persone fra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo”.

domenica 18 ottobre 2009

In carcere chi continua a gestire una azienda in decozione, occultando lo stato di crisi.

L’imprenditore che gestisce la società in stato di decozione ossia in crisi “verosimilmente” irreversibile, continuando ad investire e coprendo i buchi con dei finanziamenti, rischia il carcere. Ciò anche se la gestione avventata è durata pochi mesi.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 38577 del 5 ottobre 2009, ha confermato la condanna per bancarotta e ricorso abusivo al credito nei confronti di un piccolo imprenditore, socio di maggioranza di una sas, che, nonostante il periodo di crisi attraversato dall’azienda, aveva continuato a fare investimenti facendosi finanziare dalle banche per quasi un anno.

Il licenziamento del lavoratore, se non è immediatamente contestato dal datore di lavoro, può essere annullato.

La Sentenza n. n. 21221/2009 della Corte di Cassazione Sezione Lavoro ha deciso che il licenziamento del lavoratore subordinato, contestato in ritardo dall'azienda senza un motivo plausibile, può essere annullato.
I giudici del Supremo Collegio nella sentenza, rifacendosi ad una sentenza, ormai datata, hanno così motivato “…la sentenza di questa Corte 14.4.2005 n. 7729, accogliendo il terzo motivo del ricorso allora in discussione, osservava che nel licenziamento per giusta causa, l’immediatezza della comunicazione del provvedimento espulsivo rispetto al momento della mancanza addotta a sua giustificazione, ovvero rispetto a quello della contestazione, si configura come elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore; peraltro il requisito dell’immediatezza deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessiva della struttura organizzata dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice di merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o mento il ritardo”.

Cassazione: spetta al Fisco provare la falsità delle fatture.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21317/2009 della Quinta Sezione Civile ha fissato il seguente principio qualora il Fisco suppone che "l'operazione commerciale, documentata dalla fattura" in realtà non è mai stata posta in essere, deve darne rigorosa prova diversamente deve darne prova. La Corte ha sostenuto che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nella ipotesi di costi documentati da fatture che l’amministrazione finanziaria ritenga relative ad operazioni inesistenti, non spetta al contribuente provare che l’operazione è effettiva, ma spetta all’amministrazione che adduce la falsità del documento e, quindi, l’esistenza di un maggiore imponibile, provare che l’operazione commerciale, documentate dalla fattura , in realtà non è stata mai posta in essere”.
Una personale osservazione: il principio è quello fissato come regola generale dal nostro codice civile all’art. 2697. “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda.”
Perché per il Fisco il Codice Civile non dovrebbe valere? …

giovedì 8 ottobre 2009

Fondazione dei Consulenti del Lavoro. Il dipendente in carcere è licenziabile

Qualcuno ricorderà che a giugno 2009 la Corte di Cassazione aveva convalidato la reintegrazione di un lavoratore in azienda, finito in carcere per ragioni estranee alla sua attività lavorativa. Oggi la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro ci offre il seguente parere: il dipendente assente dal lavoro perchè carcerato può essere licenziato: non per “inadempimento”. Il licenziamento può avvenire ai sensi dell'articolo 3 delle legge 604 del 1966, in quanto per “impossibilità” della prestazione lavorativa per "ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa". La Corte di Cassazione infatti, spiega la Fondazione, con la sentenza n. 12721 del 1° giugno 2009 "ha stabilito che quando il lavoratore è assente dal lavoro a causa dello stato di carcerazione preventiva o, comunque, di detenzione a seguito di condanna per fatti estranei al rapporto contrattuale non si è in presenza di un inadempimento, bensì di un fatto oggettivo determinante una sopravvenuta impossibilità temporanea della prestazione lavorativa a norma dell'articolo 1464 c.c.. Si esclude, quindi, la riconducibilità della fattispecie in esame al licenziamento per inadempimento, sia esso per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo". Ciò non toglie, prosegue la Fondazione, che possano sussistere altre ragioni per il licenziamento. La detenzione infatti può costituire giustificato motivo di licenziamento ai sensi dell'articolo 3 legge 604/1966.

Commette reato di appropriazione indebita il coniuge separato che impedisce di prendere gli effetti personali dopo la separazione.

Con la sentenza n. 37498/2009 la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione ha ribadito la sussistenza del reato di appropriazione indebita a carico del coniuge separato che impedisce all'altro di riprendersi l’automobile e gli effetti personali. Testualmente leggiamo che “il delitto di appropriazione indebita si consuma nel momento in cui l’agente tiene consapevolmente un comportamento oggettivamente eccedente la sfera delle facoltà ricomprese nel titolo del suo possesso ed incompatibile con il diritto del titolare…”.
“Da tale principio …, si desume che il reato in questione, è consumato nel momento in cui il soggetto agente esercita la signoria sul beni uti dominus e non è necessario che la parte offesa debba formulare un’esplicita e formale richiesta di restituzione dello specifico bene oggetto della interversione del possesso”.
Nello specifico poi “la situazione di fatto maturata fra le parti (separazione con allontanamento della parte offesa dalla casa di abitazione senza il ritiro dei propri oggetti personali e della autovettura) e la corrispondenza intercorsa fra i legali, consente di ritenere che l’imputato ha avuto modo di comprendere perfettamente di trattenere presso di se oggetti appartenenti alla parte offesa …”.

lunedì 21 settembre 2009

Licenziamento in tronco. Legittimo per il dipendente infedele.

La Corte di Cassazione con la recente sentenza depositata il 10 agosto 2009 n. 18169, ha stabilito che se un dipendente pratica concorrenza sleale in danno dell’azienda presso cui lavora, quest’ultima può licenziarlo senza la necessità del consueto preavviso. In primo e secondo grado la mancanza del preavviso unitamente alla prova dei gravi fatti posti a fondamento del licenziamento, per violazione dell’obbligo di fedeltà di cui all’articolo 2105 c.c. Nella pratica il dipendente aveva svelato informazioni - sia tecniche che contabili - sulle confezioni per alimenti ad un diretto concorrente. Così la Corte “Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, che il Collegio condivide i comportamenti del lavoratore che costituiscano gravi violazioni dei suoi doveri fondamentali sono sanzionabili con il licenziamento disciplinare a prescindere dalla loro inclusione o meno tra le sanzioni previste dalla specifica regolamentazione disciplinare del rapporto e anche in difetto della pubblicazione del codice disciplinare, purché siano osservate le garanzie previste dall’art.7, commi 2 e 3 della legge n. 300/1970”. Inoltre, visto che l’attuale ricorrente ha violato “un obbligo fondamentale, quale quello sancito dall’art.2105 cod. civ., poteva prescindersi dall’avvenuta affissione, o meno, del codice disciplinare, la sentenza impugnata ha pertanto applicato correttamente nella fattispecie i principi testè richiamati”.

Multe nulle per civico sbagliato. Si se non se ne ha conoscenza.

La Seconda Sezione Civile della Corte Suprema, con la sentenza n. 19323/2009 ha stabilito che non sono valide le multe spedite agli automobilisti a un numero civico sbagliato se l’amministrazione, nella successiva cartella esattoriale notificata, non ha accluso copia dell’avviso di ricevimento della raccomandata relativa alla prima notifica. I giudici confermando che per le infrazioni del C.d.S. restano applicabili le norme processuali civili (in forza del richiamo specifico dell’art. 201 c.d.s.) hanno poi statuito che ai fini (…), della successiva emissione della cartella esattoriale è necessario documentare la regolarità della notifica del verbale presupposto, che, se eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c., non può prescindere dal relativo avviso. Ove questo non risulti, come nella specie, allegato alla cartella esattoriale, in sede di opposizione, nel caso di deduzione della mancata conoscenza del relativo verbale, l’onere della relativa prova non può non far carico che all’Amministrazione nella cui disponibilità esclusiva si trova il documento in questione. Sicché, il mancato deposito degli avvisi di ricevimento della notifica ex articolo 140 c.p.c., se non giustificato, non può che determinare l’assoluta incertezza in ordine alla corretta conclusione del procedimento notificatorio con conseguente accoglimento sul punto del relativo motivo di opposizione.Una precisazione forse non superflua per tutti: se prima della cartella esattoriale si è impugnato il verbale, è evidente che nonostante l’errore del civico, la notifica ha raggiunto il suo scopo e dunque non potrà dolersene successivamente.

Sei mesi di reclusione alla madre che impedisce al marito separato di vedere la figlia.

La sentenza di separazione prevedeva incontri giornalieri del padre con la bambina affidata alla madre e di tenerla con sé due fine settimana al mese. La madre si è difesa sostenendo la ritrosia della figlia a vedere il padre e dunque la sua decisione mirava a tutelare “l’effettivo interesse della minore”. La Corte di Cassazione (con la sentenza 34838/2009) ha convalidato la condanna nei confronti della madre a sei mesi di reclusione per mancata esecuzione dei provvedimenti del giudice, e condannato la stessa al risarcimento dei danni in favore del padre che si era costituito parte civile. Nella motivazione si legge che un atteggiamento del genere, lungi dal "tutelare l'effettivo interesse" del minore, rappresenta esattamente "il proposito di vulnerare l'interesse del marito a frequentare il figlio in costanza di separazione coniugale".

martedì 28 luglio 2009

Accertamento induttivo nullo se il contribuente è in linea con gli studi di settore.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 13915 del 15 giugno 2009 ha espresso il seguente principio in materia fiscale “Gli studi di settore vanno preferiti ai parametri di cui all’articolo 39 del d.p.r. n. 600 del ’73, attesa la natura più raffinata del nuovo mezzo di accertamento, desumibile dalla normativa stessa che lo ha introdotto”. Secondo gli Ermellini, infatti, se i ricavi dell’impresa dichiarati dal contribuente sono in linea con i dati che emergono dagli studi di settore, non ha nessun valore l’accertamento induttivo seppur basato su presunzioni gravi, precise e concordanti.
Nel caso specifico la sentenza ha confermato la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che aveva accolto il ricorso del contribuente, rigettando il ricorso dell’agenzia delle Entrate.

Le esigenze primarie di vita prevalgono sull’obbligo di pagamento dell’assegno di divorzio.

La sentenza 14214/2009 di Piazza Cavour dapprima ha ribadito che "l'accertamento del diritto all'assegno di divorzio va effettuato verificando l'adeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente a consentirgli il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio". Poi ha stabilito che valutando caso per caso, la liquidazione in concreto dell'assegno "va compiuta tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, del reddito di entrambi, valutandosi tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio". Ma la vera novità sta nella motivazione di detti principi allorquando spiega che il percorso logico razionale del giudice, quand'anche arrivasse in astratto ad indicare in un importo elevato l'ammontare dell'assegno per assicurare "lo stesso tenore di vita", bisogna considerare che detto assegno non può finire con l'incidere "sul reddito dell'onerato in misura tale da impedire a quest'ultimo di far fronte alle esigenze di vita di carattere primario".
N.d.r. Se da un lato la sentenza in commento ci appare frutto dell’applicazione di un elevato principio giuridico, dall’altro lato non possiamo non pensare ai possibili e svariati casi di sostanziale “sottrazione” dall’obbligo del pagamento del mantenimento, basti pensare a coloro che perdono il lavoro dopo il divorzio…

martedì 23 giugno 2009

Cassazione: no al “saluto romano” fuori e dentro gli stadi.

Tutto origina da un corteo improvvisato da un gruppo di ultras, fuori di uno stadio, a cui seguirono dei tafferugli. Un uomo di 30 anni, è stato condannato in Tribunale, poi in Corte d’Appello ed oggi anche dalla prima sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 25184/2009, in forza della legge Mancino che punisce l'incitamento alla violenza per motivi razziali e religiosi. Innanzi agli Ermellini, la difesa dell’ultras ha sostenuto che la condanna sarebbe stata spropositata visto che il “saluto romano” era soltanto un ''saluto scherzoso''. La Corte, invece ha ribadito il divieto per questo gesto, sottolineando che esso fa riferimento ''ad un regime totalitario che ha emanato, fra l'altro, leggi di discriminazione di cittadini per motivi razziali''.

Divorzio senza separazione. Possibile anche con tre mesi di matrimonio.

Il Tribunale di Firenze con la sentenza n. 1723 del 18 maggio 2009, ha accolto l’istanza di divorzio di una donna fiorentina che, dopo essersi sposata in Italia con un cittadino spagnolo, era andata a vivere nella terra del marito, dove però il rapporto, dopo solo tre mesi, era naufragato.
Il giudice ha applicato i seguenti principi: ai sensi dell’articolo 31 della l. 218/1995, alla procedura di divorzio va applicata la legge nazionale comune (cioè la stessa) dei due coniugi al momento della domanda. Se questa legge comune manca, si applica la legge dello Stato in cui il rapporto coniugale è stato vissuto per più tempo.
Così facendo non ha “recepito” una pronunciata sentenza straniera ma ha applicato direttamente la legge spagnola siccome ritenuta la sola idonea a regolare il rapporto coniugale di quei coniugi, e questo dopo un percorso di verifica della legge straniera di “non contrarietà ai principi fondamentali della Costituzione e dell’ordinamento italiano”. Legge che in tal caso consente lo scioglimento del matrimonio senza passare obbligatoriamente per la separazione.

lunedì 15 giugno 2009

Fare sesso è un diritto. Parola di Cassazione.

Il caso riguarda una donna che aveva subito un intervento di asportazione dell’utero ma, per fatto attribuibile a colpa medica, si era compromessa, tra l'altro, la sua vita sessuale.
Il Tribunale aveva negato il risarcimento del danno non considerando risarcibile nè quello subito alla vita sessuale nè quello di natura estetica. Successivamente la Corte di Appello riconosceva alla donna 114.000,00 euro a titolo di risarcimento del danno biologico, continuando però a negare il diritto al risarcimento del danno alla vita sessuale. Gli Ermellini con la sentenza 13547/2009 hanno accolto il ricorso della donna e rinviato il giudizio alla Corte d'Appello sottolineando che alla donna dovrà essere riconosciuto un danno maggiore rilevato che "la perdita o la riduzione della sessualità costituisce anche danno biologico e nessuno ormai nega che la perdita o la compromissione anche soltanto psichica della sessualità (come avviene nei casi di stupro e di pedofilia) costituisca di per sè un danno, la cui rilevanza deve essere apprezzata e globalmente valutata".
Conclude il rinvio, che la Corte dovrà anche tener conto delle ripercussioni psichiche che la signora può aver subito in quanto “inibita sessualmente”.

Il corretto aggiornamento del canone di locazione agli indici istat.

Il contratto di locazione spesso contiene la clausola di adeguamento del canone, agli indici istat, (al 75% o al 100%). Si tratta, in sostanza, della previsione contrattuale (sinora sempre riuscita) di una futura svalutazione della moneta. In altre parole, per comprare gli stessi beni che nel 2006 mi bastavano 1.000,00 euro, nel 2009 mi occorrono 1.053,95 euro. I parametri per questa rivalutazione, li fornisce l’Istat.
Il contratto può contenere la clausola di “adeguamento automatico” ossia senza bisogno di alcuna richiesta del locatore, ma può anche non contenerla (come genericamente succede) e dunque il locatore ogni anno deve fare richiesta scritta del canone “adeguato”. In tal ultimo caso è dovuto dal mese successivo alla richiesta. Per gli arretrati, la mancanza di tale richiesta per qualche annualità intermedia, impedisce soltanto l’accoglimento della domanda degli aggiornamenti pregressi. Ma l’aggiornamento va fatto sul canone aggiornato (cioè comprensivo della variazione istat) dell’anno precedente o va fatto sul canone iniziale? La giurisprudenza meno recente aveva interpretato “l’aggiornamento del canone ex articolo 32, legge 392/78 è da effettuarsi con esclusivo riguardo alla variazione Istat, verificatasi rispetto all’anno antecedente alla richiesta di aggiornamento” (Cassazione, 2 ottobre 2003, n. 14673) orientamento mutato e criticato dalla Suprema Corte con la sentenza 5 agosto 2004, n. 15034 per la quale “deve essere calcolato con il criterio della variazione assoluta del canone iniziale dall’inizio del contratto fino alla data della richiesta”

mercoledì 10 giugno 2009

Dipendente in carcere? Non sempre è ammesso il licenziamento.

E’ successo ad una società con oltre 60 dipendenti: il dipendente, assente dal lavoro perché in carcere non andava licenziato. La Sezione lavoro della Cassazione, con la sentenza n.12721/2009, ha stabilito che il detenuto può solo perdere lo stipendio ma non può essere allontanato dal posto di lavoro, così conferma la sentenza della Corte d’ Appello che disponeva la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore finito in carcere per fatti non legati alla sua attività lavorativa.
La Corte Suprema ha sottolineato che occorre valutare le "esigenze oggettive dell'impresa, tenendo conto delle dimensioni della stessa, del tipo di organizzazione tecnico-produttiva, della natura e importanza delle mansioni del lavoratore detenuto, nonchè del maturato periodo di assenza, della prevedibile durata della carcerazione, della possibilità di affidare temporaneamente ad altri le sue mansioni senza necessità di nuove assunzioni". E più in generale "di ogni altra circostanza rilevante ai fini della determinazione della misura della tollerabilità dell'assenza".
Le doglianze dell’azienda – secondo la quale la detenzione del lavoratore aveva prodotto un danno, in quanto l'attività non si poteva consentire alcuna interruzione del normale ciclo produttivo – sono state disattese e così rimosso il licenziamento “per assenza ingiustificata”.

Cassazione: tra moglie e marito il prestito non va restituito.

Con la sentenza n.12551/2009 la Corte ha respinto il ricorso di una donna separata che aveva domandato la restituzione di un prestito di 19mila euro fatto a suo marito per estinguere un mutuo "acceso nel corso del matrimonio per lavori alla casa coniugale e per il ripianamento dei debiti dell'impresa del marito". Gli Ermellini hanno stabilito che, dovendo presumersi l’esistenza della solidarietà coniugale, i 'prestiti' tra i coniugi costituiscono solo una sua modalità di estrinsecazione e dunque impiegati per reciproci e comuni interessi che si manifestano nello spirito del mutuo soccorso, proprio del matrimonio. Non solo, ma dal Palazzaccio arriva anche una “stilettata morale” in quanto si afferma che questo genere di affari dovrebbero rimanere "nella riservatezza della vita familiare". Viene dunque negata solo la tutela giudiziaria, perciò a fronte di un eventuale e spontaneo adempimento dell’obbligato, anche quest'ultimo non potrebbe chiedere “la restituzione”.

martedì 9 giugno 2009

Fondo patrimoniale: attenzione alla revocatoria per fidejussioni pregresse e debiti successivi.

Con la riforma del diritto di famiglia del 1975, è stata introdotta la figura del fondo patrimoniale.
Ai sensi dell'art 167 c.c., questo strumento patrimoniale consente di destinare determinati beni - tutti o parte di essi - sia mobili che immobili – sia personali che comuni – esclusivamente ai "bisogni della famiglia". Costituisce dunque uno strumento patrimoniale aggiuntivo rispetto ai regimi patrimoniali ordinari a disposizione dei coniugi (comunione o separazione) anche scelti o successivamente modificati. La Cassazione (11683/01) stabilisce che esso serve "al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento delle sue capacità lavorative". Il fondo può costituirsi solo con atto pubblico o per testamento, e può costituirsi da uno o entrambi i coniugi, ed anche da un terzo, ma in tal ultimo caso è necessaria l’accettazione dei coniugi. La proprietà dei beni, salvo che non sia stabilito diversamente, spetta ad entrambi i coniugi. L’amministrazione è tipica dei beni in comunione e, ai sensi dell’art. 169 c.c. “non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l'autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessità o di utilità evidente”.
Il patrimonio separato che si viene a formare, è tutelato da un vincolo di inespropriabilità: nel caso in cui i coniugi dovessero contrarre un'obbligazione per assolvere esigenze diverse da quelle familiari tanto che i creditori non potrebbero soddisfare il loro diritto sottoponendo ad esecuzione forzata i beni del fondo.
Ma cosa succede se uno dei coniugi, in periodo anteriore alla costituzione del fondo avesse prestato fidejussione bancaria (o ordinaria) in favore di una società o di un terzo?
Al ruolo di debitore o garante dello stesso, assunto dal coniuge ex ante viene assicurata la prevalenza: in quanto tale, egli risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri dell'inadempimento delle proprie obbligazioni (art. 2740 c.c.).
Ciò pertanto i creditori dell’obbligato hanno la possibilità di agire tramite l'azione revocatoria, facendo dichiarare inefficace, ma solo nei loro confronti, l'atto di costituzione del patrimonio separato.
La Cassazione (4422/2001), rilevato che il creditore ha diritto di soddisfarsi anche sui beni entrati nel patrimonio del debitore dopo l'insorgere del credito, sussiste la revocabilità del fondo poiché il suo diritto (su questi beni) è suscettibile di risultare pregiudicato anche da atti di disposizione che cadano sui beni che ancora non esistevano nel patrimonio del debitore al momento della nascita del credito.
L’art. 2901 c.c. stabilisce come condizione per l’esercizio dell’azione di revocatoria che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore. Nel caso del fideiussore è sufficiente che il terzo contraente (l’altro coniuge) fosse consapevole del pregiudizio. Il pregiudizio può consistere anche nel solo pericolo di un'azione esecutiva infruttuosa. E la consapevolezza, è determinabile per presunzioni "senza che sia data rilevanza all'intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore né la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo". Ultima nota: la Suprema Corte ribadisce che poiché gli effetti dell'azione revocatoria non si estendono al conferimento operato dal coniuge non debitore (o meglio non garante) ne deriva che rimanendo questi estraneo non assumerà la posizione di litisconsorte necessario nel relativo processo.
Per tal motivo, prima dell’atto pubblico, è buona norma accertarsi che non ci siano “pendenze latenti” o fidejussioni pendenti.

sabato 30 maggio 2009

Il mutuo. Tanti ne parlano, ma cos'è?

Il nostro Codice Civile, all’art. 1813 da una definizione dell’attuale contratto di mutuo: “il mutuo è il contratto col quale una parte (mutuante) consegna all'altra (mutuatario) una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili, e l'altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità”. Altre norme prevedono la sua “presunzione di onerosità (interessi)”, la libertà di forma contrattuale e la possibilità di una restituzione anche a rate. In tempi antichi il denaro non era l’unica merce di scambio esistente, sicchè anche altri beni venivano dati a mutuo e, il corrispettivo, si pagava sempre in relazione agli stessi beni. La particolarità infatti, di questo contratto, non è il “prestito” di un bene che poi deve essere esattamente restituito (come ad esempio una macchina a noleggio o un appartamento in locazione) ma il trasferimento della proprietà del bene dal mutuante al mutuatario e l’obbligo per questo non di restituire lo stesso bene, bensì uno equivalente in misura e qualità. Gaio, un giurista romano morto nel 180 d.c., scriveva del mutuo “L’obbligazione si contrae mediante cosa come nel caso del mutuo. La dazione a mutuo concerne propriamente quelle cose che valgono per peso, numero o misura, quali il denaro contante, il vino, l’olio, il frumento, il rame, l’argento e l’oro. Diamo queste cose, a numero, peso o misura, affinché diventino di chi le riceve, e ci vengano successivamente restituite, non le stesse, ma altre della stessa natura. Per questo è chiamato mutuo, perché quel che ti è dato in questo modo da me, diventa da mio, tuo

Inammissibile il ricorso per cassazione se consegnato a dipendente dell’Agenzia delle Entrate, anziché notificato.

E’ profondamente giusto che tutti conoscano i curiosi arzigogoli della nostra Corte Suprema. Questa volta tocca alla sezione tributaria con la sentenza 11620 depositata lo scorso 19 maggio 2009. Una doverosa premessa per i non addetti: la notifica è “atto dell’ufficiale giudiziario” (ma anche dell’aiutante, del trimestrale, del messo comunale, del postino e di recente, dell’avvocato autorizzato) mediante la quale si attesta la consegna “legale” di copia di un atto (o documento) al destinatario; oppure anche senza la consegna materiale, comunque si mette a conoscenza “legale” il o i destinatari, del contenuto di un atto (ad es. la notifica per pubblici proclami). E’ intuitivo che la notifica “per eccellenza” è quella effettuata nelle mani del destinatario. Se il destinatario è una persona giuridica, un ente, è altrettanto ovvio che andrà individuato il “soggetto idoneo” a riceverla. Altro principio generale è che la costituzione in giudizio, successiva alla notifica, sana eventuali vizi di cui fosse affetta la stessa notifica “in quanto l’atto ha raggiunto il suo scopo”. Fermi questi principi generali, per il processo tributario l’art.16 del d.lgs. n. 546 del 1992 testualmente dispone: le notificazioni possono essere fatte anche direttamente a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell'atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento ovvero all'ufficio del ministero delle finanze ed all'ente locale mediante consegna dell'atto all'impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia.Quindi non prevede la necessità di un soggetto qualificato a fare le notifiche, ben potendole fare la parte personalmente (o il suo difensore), e prevede che “l’impiegato addetto” (o meglio che si qualifica tale…) ne rilascia una ricevuta sulla copia. La sentenza in commento dichiara inammissibile il ricorso proposto da un contribuente contro l’Agenzia delle entrate consegnato al dipendente dell’Agenzia delle entrate ma non notificato con l’ufficiale giudiziario. E questo, anche se vi è stata la successiva costituzione in giudizio dell’Agenzia delle entrate (quindi aveva avuto ben conoscenza del ricorso). A tali conclusioni, la Cassazione è giunta in quanto "il ricorso risulta consegnato dal contribuente (e non notificato) al “Front Office” dell’ufficio delle entrate di Aversa. Tale modalità di introduzione del giudizio non è sicuramente equipollente ad una notificazione (che è atto dell’ufficiale giudiziario), costituente l’unica modalità di introduzione del giudizio di Cassazione, cui – anche a prescindere dal fatto che la consegna ad un dipendente non equivale a consegna a mani proprie – comunque non si applica l’art.17 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass. 3419/05), dettato esclusivamente per il giudizio dinanzi alle commissioni tributarie. Deve dunque ritenersi che la notificazione sia del tutto inesistente, con la conseguenza declaratoria di inammissibilità del ricorso, a nulla rilevando l’intervenuta costituzione in giudizio dell’agenzia". Al di là del fatto che “la consegna a mani proprie di un ente” può essere solo frutto di fantasia, il decreto legislativo di cui in discorso titola: DISPOSIZIONI SUL PROCESSO TRIBUTARIO. Senza eccezioni.

Tollerare le infedeltà coniugali, può costare caro: il mantenimento alla fedigrafa è dovuto

Dichiarati incostituzionali gli art. 559 e 560 del codice penale sono rispettivamente cadute le figure di reato dell’adulterio e del concubinato. Residuano però riflessi civilistici da questi comportamenti che spesso vengono fatti valere (solo) in sede di separazione dei coniugi. Sicchè, in questo campo, da una vecchia separazione “per colpa” - del coniuge che li commetteva - si è passati ad una separazione “con addebito” a quello stesso coniuge. Le conseguenze dell’addebito sono soprattutto economiche infatti il coniuge “colpevole del fallimento del matrimonio” non ha diritto al mantenimento (ossia l’assegno che gli consentirebbe di mantenere “lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio”). Negli ultimi anni la giurisprudenza, in aderenza con i mutati cambiamenti sociali che hanno mitigato l’offesa derivante dal fatto (laddove il tradimento non è più avvertito come ragione di riprovevolezza sociale), difficilmente riconosce l’addebitabilità di una separazione per infedeltà; ciò che potrebbe invece incidere è l’offesa, il clamore che il comportamento del coniuge infedele produce. Fatte queste doverose premesse, l’esame della recentissima sentenza di Cassazione, la n. 12419 del 2009, diventa più “digeribile”. Il fatto riguarda una coppia dove la moglie, per ben dodici anni precedenti la separazione, ha avuto una relazione extraconiugale della quale era pienamente a conoscenza il marito e questo in seguito alla separazione non vorrebbe riconoscerle l’assegno di mantenimento. In effetti, lei è andata a vivere con un nuovo e ricco compagno ma, gli Ermellini hanno deciso che il marito deve continuare a versarle l’assegno di mantenimento di 1.300 Euro mensili. La Cassazione afferma infatti che la consapevolezza del marito, della relazione extraconiugale della moglie, ha generato un suo sostanziale benestare a tale situazione. Non solo, ma il successo del marito, seppur in parte, derivava proprio dalla moglie la quale, sebbene non avesse una occupazione lavorativa, aveva una “intensa vita sociale e sportiva” che contribuiva ad “ampliare le opportunità professionali per il marito”. Quanto al tenore di vita, il marito, nonostante le infedeltà continuava a far godere alla moglie un tenore di vita farcito di “svaghi propri di una elite di persone facoltose”. Di qui l’obbligo all’assegno successivo per mantenere quel tenore di vita.

lunedì 25 maggio 2009

Anatocismo: sentenza da record.

Quasi 330.000 Euro. Questa è la condanna che il Tribunale di Firenze ha inflitto ad una banca, per una causa di anatocismo, a favore di un commerciante che per 12 anni è stato costretto a lavorare con lo scoperto di conto corrente. E senza neppure un euro di danni. Il commerciante ha anche sollecitato il legale ad un pignoramento della banca perché rimasta inerme (o sbigottita). Detto fatto. L’ufficiale giudiziario si è presentato in banca per l’esecuzione immobiliare. La banca però non è rimasta a guardare: ha pagato nelle mani dell’ufficiale giudiziario, sicché il correntista dovrà ora attendere anche il provvedimento di svincolo del Giudice dell’Esecuzione.

sabato 23 maggio 2009

Telefonate dall’ufficio. Se non sono sporadiche e urgenti, è reato.

La Corte di Cassazione con la sentenza 21165 del 2009 ha stabilito che le telefonate private fatte dall'ufficio sono lecite solo se sono sporadiche e urgenti: diversamente si commette reato. I giudici supremi hanno voluto mettere in guardia i dipendenti pubblici sottolineando che soprattutto quando si tratta di telefonate fatte per puro divertimento, si rischia una condanna per peculato. Secondo la Corte, infatti, "l'uso privato dell'apparecchio telefonico comporta l'appropriazione (non restituibile) delle energie necessarie alla comunicazione, di cui l'impiegato ha disponibilità per ragioni di ufficio" e per questo rientra nel reato punito dall'art. 314 c.p. l'"uso smodato" e "non episodico" del telefono aziendale per fini privati.
Il fatto riguardava il segretario di un reparto di otorinolaringoiatria di un ospedale pubblico il quale aveva fatto numerose telefonate private, anche in paesi esteri per "soddisfare la sua sfera ludica (frequenti contatti, anche internazionali, con appassionati di caccia)". Per tal motivo si è visto confermare la condanna impugnata.

sabato 9 maggio 2009

Dal Palazzaccio un monito all’ex marito invadente: commette reato e deve risarcire il danno.

La sentenza 19116/2009 ha disposto che l'ex marito che, seppur comproprietario, entra nella ex casa coniugale senza il consenso della moglie, cui la stessa casa era stata assegnata, commette reato e deve risarcire il danno. Ed il reato è quello previsto dall’art. 633 cod. pen. sulla invasione di edificio. Il danno? Gli Ermellini hanno confermato la condanna ad una provvisionale di 15.500 euro per l'invasione della casa.
In primo grado il Tribunale di Roma lo aveva assolto, ma la Corte d'Appello invece lo aveva ritenuto colpevole condannandolo al pagamento della provvisionale di 15.500. Inutile il ricorso in Cassazione in cui l'ex marito aveva sostenuto di essere comproprietario dell'appartamento e che il risarcimento da liquidare alla moglie era eccessivo anche considerato il fatto che lei intendeva darlo in affitto per 600 euro mensili. I giudici della Cassazione hanno respinto il ricorso evidenziando la manifesta infondatezza dei motivi "che preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità".

Automobilisti. Non impugnabile il preavviso di fermo del veicolo.

Con la sentenza 8890 del 2009, la Seconda Sezione Civile della Cassazione ha stabilito che non è possibile impugnare il preavviso di fermo amministrativo in quanto "la comunicazione preventiva di fermo amministrativo (c.d. preavviso) di un veicolo, notificata a cura del concessionario esattore, non arrecando alcuna menomazione al patrimonio – poiché il presunto debitore, fino a quando il fermo non sia stato iscritto nei pubblici registri, può pienamente utilizzare il bene e disporre – è atto non previsto dalla sequenza procedimentale dell’esecuzione esattoriale e, pertanto, non può essere autonomamente impugnabile ex art. 23 L. n. 689/81, non essendo il destinatario titolare di alcun interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 cod. proc. civ." ed ha aggiunto che "L’azione di accertamento negativo del credito dell’amministrazione, da parte sua, non può essere astrattamente proposta in ogni tempo per sottrarsi alla preannunciata esecuzione della cartella esattoriale, impugnabile con le forme, i tempi e il rito specificamente dipendenti dalla sua origine e dal tipo di vizi fatti valere".

L’illecita influenza sull’assemblea: atti fraudolenti e simulati. Sussiste il reato anche se si elude lo statuto.

La Prima Sezione Penale della Suprema Corte torna ad occuparsi di reati che possono scaturire da previsioni normative del codice civile. Le norme che vengono interpretate dagli Ermellini con la sentenza n. 17854/2009 sono l’art. 2636 ed il 1414 c.c. in tema di illecita influenza sull’assemblea dei soci.
La (prima) norma civilistica specifica che al commettersi di “atti simulati o fraudolenti” per determinare una influenza sull’assemblea, che comporta a sé o terzi un ingiusto profitto, provoca la sanzione della reclusione da 6 mesi a 3 anni.
Per atti fraudolenti devono intendersi tutti gli atti in frode o contrari alla legge.
Per atti simulati devono intendersi in una accezione più ampia di quella civilistica, perché “essa non evoca soltanto l’istituto della simulazione regolato dagli artt. 1414 e ss. C.c., ma include qualsiasi operazione che artificiosamente permetta di alterare la formazione delle maggioranze richieste per l’approvazione delle deliberazioni assembleari e di conseguire così risultati vietati dalla legge o dallo statuto della società.”
Da questo spunto, la Corte ha elencato (seppur non in modo esaustivo) quelle situazioni riconducibili nella fattispecie di reato prefigurata dall’art. 2636 c.c. come “illecita influenza sull’assemblea”:
  • il comportamento del socio, che si avvalga di azioni o quote non collocate, intendendo per tali quelle non vendute, ovvero quelle per le quali il socio non abbia effettuato, nei termini prescritti, il versamento di quanto dovuto;
  • il comportamento del socio che, occultando la mora nei versamenti, che gli precluderebbe il diritto di voto, tragga in inganno l’assemblea, facendosi apparire come portatore di un diritto di voto, del quale in realtà non è titolare;
  • le dichiarazioni mendaci o reticenti, provenienti dagli amministratori o dai terzi, con le quali l’assemblea od i singoli soci vengano tratti in inganno sulla portata o convenienza di una delibera;
  • l’incetta di deleghe fraudolentemente realizzata in violazione dei limiti posti dall’art. 2372 c.c.;
  • la maliziosa convocazione di un’assemblea in tempo o luoghi tali da precludere un’effettiva partecipazione dei soci;
  • i possibili abusi funzionali della presidenza dell’assemblea, a qualsiasi soggetto affidata ex art. 2371 c.c., quali l’artificiosa o, fraudolenta esclusione dal voto di soggetti aventi diritto o, all’inverso, l’ammissione al voto di soggetti non legittimati;
  • la falsificazione della documentazione relativa all’assemblea dei soci.
In tutte le situazioni sopra, la illeceità della condotta è caratterizzata dalla presenza di atti simulati o fraudolenti che hanno avuto efficacia determinante per l’adozione di deliberazioni assembleari assunte in violazione di divieti legali o statutari.

venerdì 1 maggio 2009

Usura e anatocismo bancario. Nozione e conseguenze.

Ai “non addetti ai lavori” proviamo a spiegare, in termini semplici i due concetti.
L’anatocismo consiste nel conteggio (ed applicazione) di interessi sugli interessi.
Pensiamo agli interessi che le banche applicavano trimestralmente sui conti correnti e sugli stessi ricalcolati altri interessi nel trimestre successivo, oppure, nel caso di mutuo, agli interessi di mora, calcolati su tutta la rata scaduta (e non pagata in tempo) piuttosto che solo sulla parte di rata che costituiva il capitale (vd. prospetto di ammortamento) e non anche sulla quota di interessi.
L’Usura è la pratica perseguita da chi si fa dare o promettere interessi notevolmente alti.
L’art. 644 del codice penale, che lo prevede, è stato modificato dalla L. 108/1996. Con questa legge è stata introdotta la cd. usura oggettiva: ossia sono usurari gli interessi che comunque superano il cd. tasso soglia. Questo Tasso viene determinato aumentando del 50% quello medio rilevato trimestralmente dal Ministero, per tipologie omogenee (conti correnti, leasing, ed altro). Orbene la Legge citata stabilisce che qualunque addebito viene applicato (comunque voglia chiamarsi), al di fuori dei bolli delle imposte e delle tasse (e dunque anche gli interessi anatocistici), concorre alla formazione della voce interessi o costo o guadagno (vista dalla parte delle banche). La risultanza, se supera il tasso medio + il suo 50% costituisce usura.
In passato, l’usura veniva sempre legata alla condizione soggettiva (stato di bisogno) del debitore e (all’approfittamento) del creditore.
Le conseguenze sono diverse: le somme addebitate a titolo di anatocismo sono non dovute e dunque può esserne chiesta la restituzione (con gli interessi). Se invece siamo in presenza di usura, l’art.1815 cod.civ. dispone un sistema sanzionatorio: non sono affatto dovuti gli interessi, neppure quelli legali.
Cosa si può fare contro la banca? Alla prossima puntata. :-)

Danni da cani randagi? Responsabile la Asl competente. E chi li abbandona?

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 8137/2009 ha precisato che, chi è tenuto al risarcimento dei danni provocati dai cani randagi, non sempre è il Comune.
Infatti, in presenza di leggi regionali che affidano alle Asl territorialmente competenti, o meglio ai loro servizi veterinari, la lotta al randagismo, saranno le Asl stesse a dover rispondere delle richieste dei danni alle persone che assumono averne subiti da cani randagi. Gli Ermellini hanno infatti disposto che “la legittimazione passiva spetta alla locale azienda sanitaria, succeduta alla USL, e non al Comune, sul quale, perciò, non può ritenersi ricadente il giudizio di imputazione dei danni dipendenti dal suddetto evento”.
Forse andrebbe fatto un distinguo tra cani “nati randagi” e cani “divenuti randagi” perché abbandonati; ed in tal ultima ipotesi, ove possibile, ritenere responsabile solidalmente “il vecchio padrone”.

Segreti aziendali sbandierati? Non è penalmente rilevante se non c'è nocumento alla società

La sentenza 17744/2009 della Cassazione Penale ha statuito che non è punibile il dipendente che divulga i segreti aziendali a meno che non si dimostri che questa divulgazione abbia causato un concreto danno. Del resto “ai sensi dell’art. 621 c.p. la rivelazione del contenuto di documenti segreti costituisce reato solo se dal fatto deriva un nocumento, inteso questo come pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura possa derivare a colui che abbia il diritto alla segretezza dei documenti.” Di qui la legittimità della condotta del dipendente dal punto di vista penalistico.
Sotto altro profilo non può negarsi che la stessa condotta può ledere la fiducia ed il rispetto per l’azienda e dunque minacciare il rapporto di lavoro subordinato.

domenica 26 aprile 2009

Conto corrente bancario di un prestanome; anche questo risponde dei danni.

La Cassazione (sez. terza civile sent. n. 8127/2009) ha stabilito che il prestanome di conti bancari risponde sempre personalmente per gli illeciti fatti ai terzi, da parte del proprio fiduciario, per il tramite dell’uso dei conti bancari a sé intestati. E tanto anche se è all’oscuro delle operazioni svolte.
Il principio di diritto esposto è: “qualora un soggetto acconsenta, su richiesta di un altro, ad intestarsi un conto corrente in via fiduciaria, cioè con l’intesa che le somme che su di esso transitino sono di pertinenza dell’altro soggetto, che costui avrà in concreto la gestione del conto e che esse saranno, però, utilizzate per lo svolgimento di un’attività lecita di detto soggetto, l’intestatario del conto (fiduciario) è tenuto, per il fatto stesso di apparire verso i terzi come intestatario del conto ed a maggior ragione per il fatto di non averne la concreta gestione, ad esercitare la necessaria vigilanza sul rispetto da parte di quel soggetto della finalizzazione dell’utilizzo del conto corrente esclusivamente all’esercizio di detta attività, conforme agli accordi presi. Ne consegue che, qualora l’intestatario ometta di esercitare tale vigilanza, disinteressandosi completamente della gestione del conto (astenendosi, come nella specie, dal controllare gli estratti conto e rimettendoli senza leggerli all’altro soggetto, firmando assegni in bianco che venivano riempiti dal medesimo e non preoccupandosi neppure di conoscere quale fosse l’importo accreditato), e l’altro soggetto utilizzi il conto corrente per realizzare un illecito in danno di terzi, l’intestatario del conto corrente può rispondere sul piano causale a titolo di imprudenza e negligenza, ai sensi dell’art. 2043 c.c., del danno cagionato ai terzi per effetto dell’illecito”.

Pronuncia penale di stalking dell'ex marito.

La Sesta sezione penale della Corte (sentenza n.16658/2009) su ricorso avverso la decisione del Tribunale del Riesame (cd. Tribunale della Libertà), si è pronunciata su un caso di stalking di un ex marito livornese ai danni della consorte.
In sostanza lui frequentava la casa coniugale ed aveva anche preso la residenza nei pressi della stessa, per meglio controllare la sua ex. L’uomo che risulta affetto dalla "sindrome dell'assalitore assillante", aveva tenuto un comportamento, talmente ossessivo da costringere la sua ex a farsi accompagnare al lavoro o in altri posti da un agente di sicurezza. Contrariamente alla decisione del gip del Tribunale di Livorno, il Tribunale del Riesame aveva ritenuto più che giustificata la misura coercitiva dell’allontanamento dalla casa coniugale.
Il Supremo Collegio si è pronunciato spiegando che la misura non è affatto eccessiva e che anzi si tratta di una misura "sin troppo mite in rapporto alla gravità del comportamento lesivo". Per questo, al livornese è stato inibito di frequentare "la ex casa coniugale, i luoghi dove la ex consorte è solita recarsi, da sola o con le figlie, nonchè i luoghi di abituale frequentazione della donna e di domicilio della sua famiglia di origine e dei suoi prossimi congiunti".
Una personale riflessione: sulla individuazione dei domicili anagrafici conosciuti nulla quaestio, ma sui luoghi “dove è solita recarsi la donna” mi sembra un concetto abbastanza generico, facilmente interpretabile e di difficile applicazione pratica: da un lato esclude alla donna la frequentazione esclusiva di luoghi nuovi, e dall’altro obbligherebbe l’uomo ad informarsi e documentarsi sui luoghi frequentati dalla donna (aumentando la pressione che si vuole evitare. ..)

Pianta in asso il marito. Deve risarcire il danno.

Gli Ermellini della sesta sezione penale, (sentenza 14981/2009) hanno ritenuto che l'allontanamento di una moglie, la quale lascia una lettera al marito e parte con l'amico portandosi la figlia minorenne, costituisce violazione dei doveri nascenti dal matrimonio (in particolare quello di assistenza familiare) ed integra la fattispecie del reato di abbandono, se poi al loro rientro, lei gli comunica anche di volerlo lasciare. Per questo è stata obbligata a risarcire il danno patito dal marito.

lunedì 13 aprile 2009

Società per Azioni: la relazione della società di revisione di bilancio, assurge a prova documentale nel processo tributario.

Notevole importanza processuale e sostanziale assume la relazione delle società di revisione dei bilanci con la sentenza in commento.
La Corte di Cassazione Sez. Tributaria sent. N. 5926/2009 ha stabilito che la relazione della Società di revisione costituisce prova dei costi in bilancio delle grandi aziende che ivi sono esposti, a meno che il Fisco non riesca a dare la prova contraria documentale a dimostrazione dell’errore del revisore. Nella sentenza si sottolinea che “ogni volta che la relazione di revisione venga messa a disposizione dell’ufficio tributario e del giudice tributario, le autorità devono tenerla in conto, non [a titolo] di presunzione iuris tantum della veridicità delle scritture, perché manca una norma legislativa che le attribuisca tale forza, ma di documento incorporante enunciati sui quali sia l’ufficio tributario sia il giudice tributario si devono pronunciare e che possono essere privati della loro forza dimostrativa dei fatti attestati solo mediante la prova contraria”.

La Cassazione dice basta ai ritardi e al lassismo del dipendente pubblico.

Tra tanti dipendenti che onestamente lavorano, c'è sempre l'eccezione.
La Sesta Sezione Penale della Corte Suprema, con la sentenza n. 14466/2009 ha ribadito i principi espressi nei precedenti gradi d’Appello e di Tribunale confermando una condanna ai sensi dall'art. 328 c.p. per omissione di atti d'ufficio, inflitta ad un ingegnere addetto ai servizi tecnici comunali che non aveva dato risposta a una formale richiesta di una cittadina.
Nella sentenza si precisa che ''… una volta individuato l'interesse qualificato alla conoscenza da parte del richiedente, anche la risposta negativa dell'ufficio adito, in termini di indisponibilità, oppure di parziale disponibilità della documentazione richiesta, fa parte del contenuto dell'atto dovuto al cittadino, il quale, sull'informazione negativa, può organizzare la sua strategia di tutela, oppure rinunciare in modo definitivo ad ogni diversa sua pretesa''. La rigidità della norma, spiega la Corte, è ''posta a tutela del privato ed è strutturata in modo da impedire sacche di indebita inerzia nel compimento di atti dovuti''.
Per completezza occorre ricordare che il nostro ordinamento consente anche una tutela amministrativa per i medesimi casi.

Risarcimento danni da fumo indiretto.

I proprietari di un appartamento erano costretti, d’estate e d’inverno, a tenere le finestre costantemente tappate a causa delle esalazioni di fumo di sigaretta provenienti da un bar sottostante. Gli Ermellini del Palazzaccio, con la sentenza 7875/2009 hanno confermato il risarcimento fissato dai giudici di merito in Euro 10.000,00 per danni subiti dalla famiglia. Nelle pronunce si è evidenziato che la famiglia era stata costretta "a subire gli effetti molesti, fastidiosi e insalubri del fumo passivo e dunque a tenere chiuse le finestre anche in piena estate per tutelare la propria salute". Di qui una limitazione del “… modo di vivere la casa dei danneggiati e questo individua ciò che può essere liquidato come danno non patrimoniale”.

domenica 5 aprile 2009

Lo Stato può chiedere le imposte al lavoratore, se il suo datore non le paga.

La Corte di Cassazione Sez. Tributaria sent. 7 aprile 2009 n. 8316, richiamando un’altra sentenza della stessa sezione (n.14033/2006) ha ribadito che l’irpef che non è stata versata dal datore di lavoro, può essere richiesta direttamente al lavoratore.
Tanto sul presupposto che il debitore principale di tali somme è il lavoratore che percepisce le somme, rimanendo il datore di lavoro nella posizione di “sostituto d’imposta”. Di qui il principio per il quale “il contribuente, che abbia percepito somme soggette a ritenuta alla fonte a titolo di acconto, resta debitore principale dell’obbligazione tributaria: pertanto, qualora il sostituto non abbia versato all’erario l’importo della ritenuta, l’amministrazione finanziaria può rivolgersi direttamente al contribuente per ottenere le somme dovute a titolo di imposta”.
Al lavoratore, ovviamente, non rimane che la successiva azione di rivalsa verso il proprio datore di lavoro qualora questi abbia operato la effettiva trattenuta; salvo eventuali profili anche penalistici…

L’anatocismo del conto corrente e la prescrizione.

Tanti amici e clienti ci hanno chiesto di dare chiarimenti su questo aspetto che quotidianamente ci capita.
Tutti gli utenti bancari sanno che l’estratto conto inviato dalla banca, se non contestato, si intende approvato. Lo stesso art. 1832 c.c. prevede, proseguendo, la possibilità di impugnarlo, per i soli errori di scritturazione, entro i successivi sei mesi.
Se invece le iniziali clausole contrattuali (o omissioni) fossero nulle, come quelle sull’anatocismo trimestrale o su un tasso di interesse indeterminato tipo “usi piazza”, la relativa azione è imprescrittibile ex art. 1422 c.c. In altre parole il giudice deve comunque stabilire che quelle specifiche condizioni sono da ritenersi nulle e questo lo si può chiedere in ogni momento. Quello che però, comunque si prescrive, è il diritto ad ottenere la restituzione di quanto si fosse pagato “a causa” delle previsioni (dichiarate o accertate) nulle: restituzione o abbattimento del debito, ovviamente…. Questo diritto si prescrive in dieci anni.
Copiosa giurisprudenza specifica che il conto corrente deve ritenersi come un contratto unitario, caratterizzato da un rapporto unitario, costituito da una pluralità di atti esecutivi e dove i singoli addebitamenti o accreditamenti non danno luogo a distinti rapporti ma determinano solo variazioni quantitative dell’unico originario rapporto. Per questo solamente con il saldo finale (chiusura del conto) si stabiliscono definitivamente i crediti ed i debiti fra le parti.
Allora la prescrizione decorre proprio dalla chiusura del conto corrente, sia quando lo chiude il correntista (magari con il pagamento anche rateizzato, del saldo negativo), sia quando lo chiude l’istituto bancario (eventualmente con il “passaggio a sofferenza”).
Perciò fino a dieci anni dopo la chiusura del conto, il correntista ha possibilità di “rivedere” il suo rapporto con la banca.

Photored. (Multe per il semaforo rosso) Nulle o non nulle?

Negli ultimi giorni il Giornale, il Messaggero, siti di consumatori, strombettavano ai quattro venti la possibilità di una massiccia impugnativa dei ricorsi contro i famigerati photored (gli apparecchi che fotografano gli automobilisti che non rispettano il semaforo rosso) in forza di una recente sentenza della cassazione (7388/2009) che annullava detta multa nel presupposto di una sostanziale incertezza e (possibile) indeterminatezza della sanzione se il semaforo non fosse effettivamente vigilato dagli agenti di polizia e questi non si fossero concretamente adoperati per la contestazione immediata della infrazione. Di qui la previsione di valanghe di ricorsi avverso le dette multe.
FERMI. Le cose non paiono essere proprio così. La sentenza citata si riferisce ad una infrazione dei primi del 2003 (di solito la Cassazione non interviene, né potrebbe, il giorno dopo l’accaduto…). Ed effettivamente il Codice della Strada del 2003 prevedeva l’obbligo della contestazione immediata, perciò quella multa e solo quella, è stata annullata.
Il 13 agosto 2003, però, è entrata in vigore la legge 214/03 di conversione del Dl 151/03, che ha introdotto nell'articolo 201 del Codice i comma 1-bis e 1-ter (comma 1-bis: Fermo restando quanto indicato dal comma 1, nei seguenti casi la contestazione immediata non è necessaria e agli interessati sono notificati gli estremi della violazione nei termini di cui al comma 1: ......b) attraversamento di un incrocio con il semaforo indicante la luce rossa; mentre il comma 1 ter: Nei casi previsti alle lettere b), f) e g) del comma 1-bis non è necessaria la presenza degli organi di polizia qualora l'accertamento avvenga mediante rilievo con apposite apparecchiature debitamente omologate). L’omologazione viene fatta dal ministero il quale, ha riomologato tutti gli apparecchi che avevano quei requisiti, il 18.03.2004. Da questo giorno, tutte le multe fatte con questi apparecchi sono pienamente valide e legittime. Nel caso dei semafori, il ministero ha imposto, tra l'altro,che gli apparecchi scattino almeno due foto, una all’inizio della manovra una alla fine, per essere certi che chi viene ritratto abbia iniziato ad attraversare l'incrocio quando era già rosso togliendo il dubbio (avanzato dalla sentenza 7388/09) che si possa essere puniti anche quando ci si trova involontariamente nell’incrocio, per motivi di traffico, pur avendo iniziato la manovra con il verde.
Diceva un noto personaggio televisivo: se le cose non le sai,… salle! Quasi a voler sottolineare un dovere di conoscenza che vada oltre il superficiale…
Il mio parere?... al semaforo rosso è meglio fermarsi!

domenica 29 marzo 2009

I continui rimproveri al dipendente costituiscono mobbing. Si alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno.

Con la sentenza 6907/2009 la Corte di Cassazione ha stabilito che i continui e ripetuti rimproveri orali al dipendente, fatti sul luogo di lavoro, con espressioni grevi, e toni alti (sì da farsi ascoltare anche dagli altri colleghi) costituiscono mobbing ed obbligano il datore di lavoro al risarcimento del danno.
Già la Corte d’Appello di Milano, contrariamente al Tribunale di primo grado, ordinava la reintegrazione del posto di lavoro della dipendente (perché alla fine era stata licenziata) nonché al risarcimento del danno biologico di € 9.500 per i nove mesi che era stata oggetto di tale forma di mobbing.
E questo anche se i rimproveri orali fossero stati pienamente giustificati dalla scarsa diligenza nella esecuzione delle proprie mansioni.

sabato 28 marzo 2009

Autovelox nascosti? E' truffa agli automobilisti.

L'art.142 del codice della strada prescrive che gli apparecchi di rilevamento della velocità debbano essere ben visibili e segnalati: una circolare del ministero dell’interno dispone che questi apparecchi debbano essere segnalati almeno 400 metri prima.
La Corte di Cassazione (sentenza n. 11131/2009) ha affermato che la violazione di questo articolo integra la fattispecie del reato di truffa contro gli automobilisti.
Nei fatti in tre comuni calabresi gli autovelox erano stati nascosti in autovetture di proprietà, il cui titolare riceveva un compenso in ordine ad ogni multa effettuata.
Il Tribunale di Cosenza aveva disposto in primo grado il sequestro preventivo delle apparecchiature fornite dalla Speed Control ipotizzando l’ipotesi della truffa ai danni degli automobilisti. I giudici del Palazzaccio hanno confermato l’ipotesi rigettando il ricorso dell’azienda proprietaria.
Forse non è superfluo ricordare che le multe fatte in violazione del codice della strada possono essere tutte contestate.

Legittimo il licenziamento del dipendente che si fa timbrare il cartellino da un collega. Anche se non c’è danno per l’azienda.

Tribunale, Corte d’Appello e Cassazione (sentenza 26239/2009) concordi nel reputare congrua la sanzione del licenziamento anche se all'azienda non deriva “un danno economico” reputando sufficiente il fatto che si sia realizzata una “lesione dei doveri di lealtà” nei confronti dell'azienda. Trattavasi di una dipendente di una clinica di Torino che si era fatto timbrare il cartellino prima di essere entrata a lavoro da una collega.
Persi il primo ed il secondo grado, la donna ha fatto ricorso agli Ermellini per l'applicazione di una sanzione più lieve siccome il fatto non aveva comportato un danno economico all'azienda. La Corte ha respinto la doglianza sottolineando che “la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito appare logica e coerente”. Infatti gli stessi avevano rettamente motivato le pronunce, facendo riferimento alla “lesione del vincolo fiduciario a prescindere dal danno patrimoniale subito dalla società”. Di qui la congruità della sanzione del licenziamento, “… vista la gravità dell'addebito contestato”.

lunedì 9 marzo 2009

Assegno protestato. Iscrizione nelle "black list". (CAI. CRIF,...)

Dopo il protesto, il presentatore ha l'obbligo di segnalazione (non può sottrarsi). E' così che si finisce sulle banche dati pubbliche e private dei "cattivi pagatori" ai quali, spesso, viene negato ogni successivo accesso al credito.
La normativa non prevede la cancellazione del protesto ma solo la riabilitazione e questo anche se il debitore paga l’assegno e gli accessori immediatamente.
La riabilitazione può essere chiesta solo dopo un anno dal protesto e se si è in possesso del titolo in originale e delle ricevute di pagamento della sorte, degli interessi, della penale e delle spese; in mancanza delle ricevute è possibile una autodichiarazione sostitutiva di atto notorio (al Comune). E' disposta dal Presidente del Tribunale competente e successivamente va presentata istanza di cancellazione dal Registro Informatico al Presidente della Camera di Commercio.
Nel caso di protesto errato occorre rivolgersi al Tribunale con le modalità del ricorso d’urgenza e notificare il provvedimento di accoglimento al Presidente della Camera di Commercio il quale provvederà alla cancellazione definitiva.
La notizia di ciascun protesto è conservata nel Registro Informatico fino alla sua cancellazione. Diversamente, trascorsi 5 anni dalla registrazione (a prescindere dal pagamento), viene automaticamente cancellata.

domenica 8 marzo 2009

Scioperi selvaggi addio!

Lo scorso 27 febbraio 2009 Il Consiglio dei Ministri, ha approvato un disegno di legge di riforma del diritto di sciopero nel settore dei trasporti. (In concreto si tratta di uno schema di "delega al governo" che verrà proposto al parlamento per la sua approvazione). Questi i punti salienti.
Per proclamare lo sciopero nel settore del trasporto è necessario che le organizzazioni che lo indicono abbiano la rappresentanza di almeno la metà dei lavoratori. In alternativa, è previsto che quando le sigle rappresentano almeno il 20% ma non arrivano al 50%, serve un referendum preventivo che ottenga almeno il 30% di consensi.
La revoca degli scioperi, sempre nel settore dei trasporti, dovrà essere comunicata con congruo anticipo.
Lo sciopero virtuale, invece, sarà disciplinato dalla contrattazione, potendo essere effettuato in varie modalità, con o senza la trattenuta dal salario.
Incorrono in sanzioni amministrative quei lavoratori di qualunque categoria che bloccano strade, autostrade, porti, ostacolando la libera circolazione.
La responsabilità di comminare sanzioni passa dal datore di lavoro alla Commissione di garanzia e la riscossione viene affidata ad Equitalia.

sabato 28 febbraio 2009

I nonni hanno un autonomo diritto di visita dei nipoti?

Per i nonni è inammissibile l’intervento nel processo di separazione dei genitori, per far valere un autonomo diritto di visita dei nipoti.
Supreme pronunce fissano l’“... Oggetto del giudizio di separazione è l’accertamento della sussistenza dei presupposti della autorizzazione a cessare la convivenza coniugale e la determinazione degli effetti che da tale cessazione derivano nei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi e nei rapporti dei coniugi stessi con i figli minori (o maggiorenni e, senza loro colpa, non autosufficienti)”
Di qui la necessaria partecipazione al processo dei coniugi in via esclusiva.
Ai nonni, che non hanno un autonomo diritto alle visite, però, è concesso il diritto di sollecitare la magistratura (Tribunale dei minorenni) per la verifica del corretto esercizio della potestà dei genitori, i quali non possono senza motivo plausibile vietare i rapporti dei figli con i parenti più stretti (Cass. 3904/57; 1115/81); il tutto nello spirito di tutela del diritto dei minori ad una pienezza di rapporti familiari.

Riaffermato il credito dell'amministratore di Condominio che ha anticipato denari propri

In sede di passaggio di consegne all’amministratore del condominio subentrante, viene verbalizzata l’annotazione del credito dell’amministratore uscente, dovuto per anticipazioni in favore del condominio stesso. In più viene fissato il termine che trascorsi 90 giorni dalla data di redazione del verbale di consegna dei documenti si sarebbe provveduto senza ulteriore avviso al recupero coatto del credito, con la decorrenza degli interessi dalla data di quantificazione del credito stesso.
Il Giudice di Pace su detto presupposto (e sulla contumacia del condominio) condanna il condominio al pagamento.
Ndr. Nello specifico non è dato capire se “il passaggio delle consegne” è atto di formazione negoziale ovvero unilaterale dell’Amministratore uscente: se nel primo caso ci vede in linea con la sentenza, nel secondo non la condividiamo. Ai nostri clienti suggeriamo di utilizzare la prima ipotesi quando non è possibile un riconoscimento assembleare.
Giudice di Pace di Bari, Sentenza 13 Gennaio 2009 , n. 139 ti serve? chiedici la sentenza via mail

domenica 22 febbraio 2009

Multa illegittima se l'agente non è ben visibile.

Il Tribunale di Modena (sent. 25.11.2008) ha confermato la sentenza del Giudice di Pace di illegittimità di una multa per eccesso di velocità, sul presupposto che dal verbale non risultavano le condizioni di piena visibilità della pattuglia della polizia. In concreto, era notte, la pattuglia si trovava dall'altro lato del senso di marcia, senza illuminazione pubblica e l'agente ha dovuto attraversare la strada per la contestazione; il tutto in violazione dell'art. 183 DPR 14.12.1992 n. 495. (PS prima di firmare un verbale, leggetelo e se incompleto, fate prima rilevare esattamente i fatti...) Tribunale di Modena sentenza 25 novembre 2008. ti serve? chiedici la sentenza via mail

domenica 8 febbraio 2009

Test anti HIV senza consenso informato? Va risarcito il danno

La terza sezione della suprema Corte, con la sentenza n. 2468/2009 dispone di nuovo in materia di privacy e di consenso informato. Ha infatti accolto il ricorso di un omosessuale che, ricoverato per un forte attacco febbrile con diagnosi di leucopenia, era stato sottoposto al test anti-Hiv senza il suo preventivo consenso. Le doglianze del paziente – accolte dai massimi giudici - sono state da un lato la diffusione dentro e fuori l’ospedale della notizia della sua omosessualità, notizia data in illegittima evidenza sulla cartella clinica, peraltro non adeguatamente custodita, e dall’altro che non era stato informato del test cui è stato sottoposto. Sul primo punto la Cassazione ha rinviato ad altra Corte d’Appello la determinazione del risarcimento dovuto, sul secondo nel richiamare la legge 135 del '90 ha ricordato che “nessuno può essere sottoposto al test anti-Hiv, se non per motivi di necessità clinica”. Peraltro, anche nei nei casi di necessità “il paziente deve essere informato del trattamento a cui lo si vuole sottoporre e ha il diritto di dare o di negare il suo consenso, in tutti i casi in cui sia in grado di decidere liberamente e consapevolmente”; quindi il consenso è derogabile solo “nei casi di obiettiva e indifferibile urgenza del trattamento sanitario, o per specifiche esigenze di interesse pubblico (rischi di contagio per terzi), circostanze che il giudice deve indicare".
L’omosessuale ha dovuto chiudere la sua attività commerciale ed ha chiesto un risarcimento di 500.000 Euro.

sabato 7 febbraio 2009

Matrimonio lampo e non consumato: il mantenimento è dovuto.

La Cassazione Civile, con la sentenza 2721 del 2009 ha disposto che anche un matrimonio di sette giorni può bastare per far sorgere il diritto al mantenimento e questo anche se il matrimonio non è stato consumato.
E questo sui noti principi della differenza di reddito, del tenore di vita che si sarebbe potuto avere nella prosecuzione della convivenza; a prescindere dal fatto che la moglie non abbia concesso al marito neppure il tradizionale jus primae noctis. Ma su tali reticenze, gli Ermellini hanno deciso una sostanziale riduzione dell’assegno, a soli 250 Euro mensili.

lunedì 2 febbraio 2009

Illegittimo il ruolo dopo la sentenza di rigetto del Giudice di Pace

Successivamente ad una sentenza di rigetto del Giudice di Pace dell’impugnativa dei verbali e delle ordinanze ingiunzioni, le somme ivi riportate non possono essere iscritte e poi riscosse a mezzo ruoli dell’esattore e non possono neppure essere maggiorate ai sensi dell’art. 27 L. 689/81. La riscossione infatti potrà effettursi secondo le ordinarie norme del codice di procedura civile da parte dell’ente creditore (l'art. 204 bis codice della strada non fa riferimento anche alle ipotesi di cui al 206 primo comma) aggiungendo solo gli interessi di mora al tasso legale.
Giudice di Pace di Roma, sentenza del 9 dicembre 2008. ti serve? chiedici la sentenza via mail

Moglie bisex perde anche il mantenimento se il marito la picchia sorprendendola a letto con altri

La Cassazione con sentenza n. 1734 del 2008 ha reputato la violenza del marito scaturita dalla scoperta del tradimento bisex della moglie, meno grave del tradimento stesso. Per questo se la moglie bisex è infedele, perde l'assegno di mantenimento anche se dimostra che suo marito l'ha picchiata. Inizialmente il Giudice del primo grado aveva addebitato a lui la colpa della separazione proprio perchè aveva ritenuto inammissibile la violenza del marito. Successivamente la Corte d'Appello e ora anche la Cassazione hanno ribaltato il verdetto affermando che la violenza del marito sarebbe “giustificabile” come reazione alla scoperta del tradimento inusuale della moglie.

domenica 25 gennaio 2009

Mancato consenso informato del paziente.La Cassazione: non sempre è reato

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha fissato i criteri entro i quali il consenso informato del paziente può ritenersi indispensabile e vincolante. Il principio enunciato è il seguente, la condotta per la quale "il medico sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, e tale intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli, si sia concluso con esito fausto, nel senso che dall'intervento stesso è derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute, in riferimento, anche alle eventuali alternative ipotizzabili, e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte del paziente medesimo, tale condotta è priva di rilevanza penale".
Con tale principio, le sezioni unite della Suprema Corte hanno annullato senza rinvio "perchè il fatto non sussiste" la decisione della Corte d'appello di Bologna che, nel febbraio 2007, aveva dichiarato l'intervenuta prescrizione del reato di violenza privata contestato al medico Nunzio G. in primo grado e che gli era valso una multa di seimila euro, con il beneficio della sospensione condizionale della pena. In particolare si trattava di una vicenda avvenuta nel reparto di ginecologia dell'ospedale di Cattolica il 20 novembre del 1997 quando Roberta M. veniva sottoposta dal medico ad un intervento di laparoscopia operativa e, senza soluzione di continuità, a salpingectomia che determinò l'asportazione della tuba sinistra. "L'intervento demolitorio - ricostruito dagli Ermellini - risultò essere stato una scelta corretta ed obbligata, eseguita nel rispetto della lex artis e con competenza superiore alla media". Tuttavia, secondo l'accusa, "senza il consenso validamente prestato dalla paziente, informata soltanto della laparoscopia". Ma ora la Cassazione ha fatto cadere tutte le accuse nei confronti del medico che non puo' essere considerato colpevole.
Chiedeteci il testo integrale della sentenza n. 2437/2008 e lo invieremo via mail.

venerdì 16 gennaio 2009

Rata di mutuo effettiva al 4% per tutto il 2009 con il contributo "automatico" dello Stato.

Con la recente Circolare del Ministero delle Finanze,del 29 dicembre 2008, n. 17852 si sono fatti i primi chiarimenti all'art. 2 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 sui mutui prima casa.
Trattasi dei mutui a tasso non fisso erogati entro il 31 ottobre 2008 a persone fisiche per l'acquisto, la costruzione e la ristrutturazione dell'abitazione principale ad eccezione di quelle di categoria A1, A8 e A9.
Le rate da corrispondere nel 2009 per il cliente devono essere calcolate al 4%, senza spread, spese varie o altro tipo di maggiorazione.La differenza tra gli importi a carico del mutuatario ai sensi dell'art. 2 comma 1 del decreto-legge n. 185/2008 e le rate da corrispondere ai sensi del contratto di mutuo sottoscritto, è posta a carico dello Stato.
La Circolare chiarisce che Il contributo dello Stato viene corrisposto dalle banche mutuanti, senza alcun costo per il cliente, alla data di scadenza di ciascuna rata.
Le rate interessate sono tutte quelle da corrispondere nel corso del 2009.
Il criterio di calcolo individuato dalla legge si applica all'intero importo della rata e non solo al rateo riferibile al 2009.
La banca mutuante, a causa di difficolta' di carattere organizzativo, potrebbe non essere in condizioni di corrispondere il contributo gia' per le prime rate in scadenza nel 2009. Si ravvisa l'obbligo di adoperarsi per contenere al massimo eventuali ritardi, che comunque non dovrebbero ragionevolmente estendersi oltre il mese di febbraio 2009.
Il mutuatario deve naturalmente essere tenuto indenne da ogni effetto di tali ritardi. In particolare, ogni contributo deve essere accreditato con valuta del giorno di scadenza della rata cui e' relativo.
La Circolare, infine, chiarisce che tali disposizioni si applicano anche ai mutui che sono stati oggetto di operazioni di cartolarizzazione o di emissione di obbligazioni bancarie garantite, ai sensi della legge 30 aprile 1999, n. 130.

La presenza del nuovo partner non limita il diritto di visita dei figli.

La Cassazione con la sentenza del 9 gennaio 2008 n. 283 ha confermato quanto stabilito in grado di appello: Il padre separato che ha il diritto di incontrare i figli non è costretto a “nascondere” la sua nuova compagna. Anzi, se vuole può farlo in presenza della stessa, ovviamente, ferme restando le altre modalità di esecuzione del diritto stabilite dal giudice.
Di qui il principio che il diritto di visita del genitore separato con figli, affidati all’altro coniuge, può avvenire anche in presenza della nuova partner del padre o della madre non affidatari; anche se quest’ultima è stata causa della fine del matrimonio.
Principio contrario a quello che in primo grado il Tribunale aveva stabilito su richiesta dell’ex moglie, vietando all’ex marito di incontrare la figlia minore in presenza della nuova compagna.